I boss della Formula 1 hanno offerto uno spettacolo grottesco nel modo in cui è stata gestita la crisi del Gran Premio d’Australia ai tempi del coronavirus
Alla fine i motori delle monoposto non si sono neanche accesi, per quello che sarebbe dovuto essere il Gran Premio inaugurale della stagione in Australia. Eppure, una prima sconfitta dell’anno c’è stata comunque, e anche piuttosto sonora: la sconfitta della Formula 1 nel suo complesso.
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A perdere, non una gara ma proprio la faccia, sono stati i vertici di questo sport, rivelatisi palesemente inadatti a gestire una situazione di crisi. Per giorni il mantra che gli organizzatori dell’evento di Melbourne e quelli del Mondiale hanno ripetuto fino alla nausea è stato: “Tutto va avanti come previsto”.
Tardiva la cancellazione del GP d’Australia
I piloti e lo staff delle squadre è atterrato, le scuderie hanno trasportato il loro materiale all’Albert Park, i tifosi si sono affollati in circuito. Mentre fuori dal recinto della pista infuriava la bufera, dentro per giorni si è cercato grottescamente di far finta di non essersi accorti di nulla. Di tenere in piedi questo traballante castello di carte, con la consapevolezza che sarebbe bastato un soffio per buttarlo a terra.
E questo soffio, come era facile prevedere, puntualmente è arrivato: nel paddock si è registrato il primo caso di contagio accertato, quello di un dipendente della McLaren. Eppure, neanche di fronte a questa positività ormai sicura, è arrivata la decisione immediata di bloccare tutto. È trascorsa un’altra notte, si è tenuta una riunione in cui alcune squadre (come Red Bull, AlphaTauri e Racing Point) insistevano ugualmente per correre, gli appassionati si accalcavano fuori dai cancelli, mentre alcuni piloti come Vettel e Raikkonen erano già scappati in aereo.
Ma i danni sono stati fatti
Solo a quel punto il patron Chase Carey si è rassegnato all’inevitabile e non ha potuto fare altro che prendere l’unica decisione possibile e sensata: quella di cancellare la gara. Una decisione, però, presa con colpevole ritardo. La F1, infatti, ha chiuso la stalla solo quando i proverbiali buoi erano ormai già scappati: ha fermato le macchine quando i danni erano già fatti. E non ci riferiamo solo ai milioni di dollari buttati al vento per allestire il paddock e la corsa, ma soprattutto agli assembramenti di migliaia di spettatori che si sono consentiti sia al giovedì che al sabato: una scena quasi criminale, di questi tempi.
Beninteso, la sottovalutazione della pandemia è stata un atteggiamento piuttosto diffuso, da parte un po’ di tutti i governi del pianeta. E in particolare negli Stati Uniti, terra d’origine del gruppo Liberty Media, si è cercato fino all’ultimo di spacciare per semplice burletta l’intera crisi del coronavirus. Ma questo non può essere un alibi accettabile per la Formula 1, che è uno sport globale, eppure ha testardamente insistito a tapparsi gli occhi anche quando la maggior parte degli altri eventi nel mondo avevano già giustamente gettato la spugna.
Formula 1 sempre più lontana dal pubblico
Semmai, il massimo campionato automobilistico ha confermato una volta di più una tendenza che era ormai evidente da anni a tutti coloro che volessero vederla: la sempre più marcata chiusura in se stessa, nella gabbia dorata del paddock, e l’allontanamento progressivo dal resto del mondo. Ce n’eravamo resi conto già dal modo in cui la Fia aveva tentato schizofrenicamente di manipolare i regolamenti tecnici nei decenni appena trascorsi, nella speranza di migliorare uno spettacolo diventato invece sempre più disarmante, e senza peraltro riuscire minimamente ad intercettare i bisogni e le speranze del suo pubblico.
Oggi questa distanza è divenuta addirittura siderale, tra un pubblico che teme, soffre e si ammala, e una F1 che vuole proseguire come se nulla fosse. Non per offrire un apprezzabile intrattenimento e perfino un benvenuto senso di normalità in questo periodo così delicato, come qualcuno tentava di far passare, ma solo e unicamente in nome del dio denaro. Come se i ricchi fossero immuni dal contrarre il coronavirus. Come se in questo modo non si fossero fatti ancora più disastri, perfino dal punto di vista economico: lo dimostra il crollo delle azioni del campionato in borsa.
Ora basta: fate come Ezpeleta
Sotto questo profilo, viene da fare invece un applauso alla capacità di gestione e di lungimiranza dimostrata dai cugini del Motomondiale. Il cui patron Carmelo Ezpeleta ha sì atteso che il primo passo lo facessero i governi locali, per evitare conseguenze legali e penali milionarie da versare, ma almeno dal punto di vista comunicativo ha sempre indicato una direzione univoca, chiara e precisa, e ci si è attenuto con coerenza.
L’esatto contrario del pastrocchio combinato da questo inqualificabile governo dell’automobilismo. Ci auguriamo che, per lo meno, abbiano imparato la lezione, e non perseverino nei loro errori regalandoci ulteriori delusioni anche per le prossime gare previste in Bahrein e in Vietnam, che vanno sospese immediatamente e senza altre esitazioni. Altrimenti la Formula 1, che fino ad oggi avevamo definito “circus”, rischia definitivamente di trasformarsi solo in un vero e proprio triste circo.
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