Lo strappo con Sebastian Vettel è l’ultimo di una lunga serie nella storia della Ferrari. Per qualche ragione il team ha effetti laceranti.
Forse è la politica, che in Italia pervade qualsiasi cosa, forse è il peso di indossare una tuta prestigiosa come poche altre al mondo. Sta di fatto che se volgiamo indietro lo sguardo a ciò che ci raccontano gli annali di Maranello, nella scuderia si sono accumulati più morti e feriti che in guerra.
Senza scomodare i mostri sacri dello sport come Niki Lauda, che con il grande Enzo ebbe un rapporto di odio-amore conclusosi nel peggiore dei modi, o ancora Alain Prost cacciato in malo modo per aver definito la F1-91 643 un “camion”, o lo stesso Gilles Villeneuve, addirittura finito nell’al di là dopo aver ricevuto una pugnalata alla schiena da un box che riteneva amico e che invece non si è rivelato tale, piuttosto che uno dei migliori piloti italiani di sempre, vale a dire Michele Alboreto, penalizzato in tutti i modi dal muretto nel lontano 1987 per favorire addirittura Gerhard Berger, il Cavallino ha disintegrato nell’animo tutti coloro che hanno fatto la sua conoscenza.
Come una sorta di Lorelei dalle forte capacità attrattive che poi si rivelano infauste, la Scuderia non ha saputo fare meglio neppure in tempi recenti, a partire dalla cacciata a fine 2006 di Michael Schumacher, camuffata da ritiro volontario, a cui si tentò di mettere una pezza ingaggiandolo come uomo del meteo nell’anno dell’ultimo trionfo iridato con Kimi Raikkonen. E proprio ad Iceman non è esattamente andata di lusso rispetto al Kaiser di Kerpen. Premiato nel 2009 con un licenziamento costato 17 milioni di euro alla squadra purché si togliesse dalle scatole, il finlandese verrà richiamato nel 2014 per svolgere il ruolo di zerbino di Fernando Alonso. E qui un altro capitolo doloroso per il popolo rosso. Lo spagnolo, forte di due sigilli conquistati con la Renault, arrivò con la corona di salvatore della patria, spinto da uno sponsor, la Santander, acclamato come la manna dal cielo dall’allora Presidente Luca di Montezemolo, salvo affondare pian piano non solo dal punto di vista sportivo, ma pure umano con critiche plateali che hanno accelerato il divorzio e l’arrivo di Seb, in quell’epoca il driver di vincente del lotto. Per questo, sulla carta, il tedesco avrebbe dovuto fare il botto, riportare i grandi risultati in zona Modena, ed invece a fine 2020 se ne andrà forse con soltanto 14 gare in tasca in sei tentativi, rare emozioni, una buona dose di errori e tanti, parecchi rimpianti.
Chiara Rainis