Jean Todt ha fornito una sua personale spiegazione al flop di Sebastian Vettel in Ferrari facendo un confronto con l’era trionfale di Schumacher.
Pensavo fosse amore ed invece era un calesse. Sulla carta l’unione tra il tedesco e il Cavallino doveva essere proprio questo, una favola con un lieto fine per entrambe le parti, ed invece si è trasformato in qualcosa di ben diverso. Non un incubo, certo, ma neppure un bel sogno. Dal 2015 ad oggi sono arrivate appena 14 vittorie di gara. Cifra se non mediocre, comunque molto lontana da quello che era l’obiettivo comune. Come con Alonso, quindi, la magia non si è avverata, ma soprattutto tra il #5 e la Rossa non è mai stato vero amore. Soltanto stima reciproca, forse. Più in generale una relazione di comodo, nonostante gli sforzi, lodevoli di Seb di imparare l’italiano, figli probabilmente più del pragmatismo teutonico che di un sentimento di vicinanza al gruppo.
A questo proposito, secondo il Presidente della FIA, starebbe proprio nel mancato feeling interno il motivo del mancato successo della collaborazione.
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“Quando ero a Maranello assieme a Schumi, come squadra eravamo molto uniti e ci sostenevamo a vicenda, più ancora nelle difficoltà che nei momenti positivi”, ha sostenuto a Sky Sports F1 il manager francese. “Il buon marinaio lo si scopre quando il mare è in tempesta e quando c’era burrasca noi eravamo tutti sulla stessa barca”.
Per il 74enne il futuro di Vettel lontano dal suo attuale team potrebbe comunque essere roseo. “Gli auguro il meglio per il post 2020 in quanto resta uno dei più forti”, ha affermato. “Con una macchina competitiva saprà tornare davanti. Quando Michael arrivò in Ferrari nel 1996 si aggiudicò soltanto tre GP e questo non perché non fosse motivato, ma perché non disponeva di un’auto abbastanza veloce da poter puntare al mondiale. Lo stesso discorso lo si potrebbe fare per Lewis Hamilton”, ha concluso avvallando il pensiero condiviso per cui nella F1 di oggi se non hai una monoposto valida non hai speranze.
Chiara Rainis
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