Se Valentino Rossi è riuscito a tornare sul podio a Jerez è soprattutto merito dello scontro in Yamaha che ha dovuto vincere per imporre i suoi assetti
Dalle stalle alle stelle in una settimana. Sette giorni fa, nel Gran Premio di Spagna, Valentino Rossi toccava il punto più basso della sua recente carriera agonistica: ritirato a bordo pista, il motore rotto, al termine di un weekend di gara in cui non si era mai affacciato tra i migliori. Ieri, nel Gran Premio dell’Andalusia, si è ripreso quel podio che gli mancava da Austin 2019: 465 giorni dopo, e a 41 anni ormai compiuti.
Cosa può essere cambiato in una sola settimana, tanto da giustificare questo ribaltamento totale delle prestazioni del Dottore? Non certo la sua età, alla faccia di chi lo dava troppo in anticipo per bollito. Nemmeno la pista, visto che entrambe le gare si sono disputate a Jerez de la Frontera.
No, la chiave di questa rinascita l’ha spiegata lui stesso, dopo il traguardo, durante le interviste con i giornalisti, con un tono a metà tra il sospiro di sollievo e la voglia di togliersi un sassolone dalla scarpa: è stata l’assetto. Per oltre un anno, il fenomeno di Tavullia è stato costretto a guidare una moto “che non era la mia”, racconta.
E a costringerlo era proprio la Yamaha, quella che era stata la sua squadra, ma ormai si stava affidando sempre più convintamente a Fabio Quartararo, il nuovo che avanza, che sembrava l’interprete più competitivo con la M1 (tanto da guadagnarsi la promozione al team ufficiale, scippando il posto proprio a Rossi). “Perché la Yamaha ha Vinales e Quartararo, io ho 41 anni e mi dicevano che dovevo imparare a guidare questa moto come loro”, ha rivelato il nove volte iridato, un fiume in piena.
Non volevano proprio dargli retta, a Iwata: non volevano consentirgli di cambiare messa a punto della moto. Sei vecchio, ormai non vinci più, accontentati dei mezzi tecnici che hai e cerca di imparare un nuovo stile di guida: una bella mancanza di rispetto e di fiducia, nei confronti di chi a quei colori ha dato tanto, anzi tantissimo.
Ma Vale, anche stavolta, non si è arreso. Ha intrapreso una nuova gara, stavolta non in pista ma sui tavoli della politica interna alla scuderia, dove il suo avversario non era più un altro pilota, ma gli ingegneri del suo stesso team. Per quattro giorni, assistito anche dall’ottimo lavoro del suo nuovo capotecnico David Munoz, ha battagliato a denti stretti. E, manco a dirlo, pure stavolta l’ha avuta vinta. Dimostrando di avere ancora motivazioni da vendere, anche ora che è ultraquarantenne.
Tra la prima e la seconda tappa di Jerez ha ottenuto di cambiare assetto, di poter regolare la M1 come voleva lui. E, d’un tratto, i problemi di usura eccessiva della gomma posteriore, che per oltre dodici mesi erano sembrati un mistero irrisolvibile della moto di Rossi, si sono dissolti. Non è stata magia, ma l’ennesima conferma della straordinarietà, tecnica e umana, di questo eterno campione.
“A volte mi chiedo il perché delle loro posizioni, non è stato molto intelligente”, affonda ancora il numero 46. “Comunque non voglio le scuse, ho una grande relazione con la Yamaha, è nel mio cuore, abbiamo scritto una grande storia insieme, volevo solo mettere loro un po’ di pressione. Visto che ho deciso di restare anche nel 2021, in Yamaha mi devono aiutare, credere in me e lavorare. Perché forse non sono il più veloce, ma posso fare belle gare”.
Lo ha dimostrato in Andalusia, ed è pronto a ripetersi anche tra due settimane a Brno. Con una Yamaha così, chi lo ferma più? Di certo non i suoi boss, che sembrano aver imparato la lezione: “Le richieste di Valentino non erano del tutto condivise dagli ingegneri, alla luce dei dati che avevano in mano da parte degli altri piloti”, chiude la questione il team principal Lin Jarvis. “Alla fine gli è stato permesso di apportare delle modifiche e si sono visti i risultati”. Come a dire: ha avuto ragione lui. Ancora una volta.
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