Risolto il mistero Hamilton, torna alla ribalta il tema del motore della Red Bull. Nel gruppo austriaco sembra esserci una sola certezza.
Mentre c’è chi guarda oltre, nella fattispecie al 2025/2026 quando la nuova regolamentazione relativa ai motori potrebbe aumentare il numero di casa iscritte, alla Red Bull pensano all’oggi o comunque ad un domani decisamente prossimo.
L’annuncio a sorpresa arrivato lo scorso ottobre del ritiro di Honda a fine 2021, ha lasciato il main team e la sorellina Alpha Tauri con un pugno di mosche in mano, facendo, ovviamente, cambiare l’ordine delle priorità. Se infatti fino all’estate ciò che contava era battere la Mercedes, successivamente l’elemento principale è diventato trovare una soluzione al problema.
Noel Gallagher avrebbe detto “You know we can’t go back”. Sì perché per l’equipe con base a Milton Keynes le possibilità non erano e non sono molte. In sintesi essenzialmente due: proseguire con il motorista nipponico non più in veste da ufficiale, oppure ribussare alla porta della Renault, insultata e denigrata in ogni modo tra il 2014 e il 2015 e poi ancora tra il 2016 e il 2017 quando aveva deciso di presentarsi sotto il brand Tag Heuer.
Una strada quest’ultima che il gruppo dirigente formato da Christian Horner, Helmut Marko e Franz Tost non vuole neppure, forse per vergogna, contemplare.
“A Viry-Chatillon hanno una loro squadra quindi non credo che potrebbero fornirci una power unit competitiva”, ha bocciato l’idea di un ripristino della collaborazione il responsabile dell’ex Toro Rosso. “Credo che Dietrich Mateschitz (ndr. il patron del marchio Red Bull) ambisca a vedere la sua scuderia lottare per il titolo. E per farlo occorre il materiale appropriato”.
L’unica via alternativa al sempre paventato ritiro, resta quindi l’utilizzo della PU prodotta a Sakura, a patto però che le altre squadre in griglia accettino il congelamento dello sviluppo. Un provvedimento che sarà all’ordine del giorno nella discussione tra FIA e team del prossimo 11 febbraio.
Chiara Rainis
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