Luca Marini racconta la sua vita agonistica, privilegiata ma difficile, da fratello minore di Valentino Rossi. E preannuncia il suo futuro
Il posto in MotoGP ha dimostrato di meritarselo. E non perché è il “fratello di Valentino Rossi“, ma perché è il vicecampione del mondo in carica della Moto2, scusate se è poco. Certo è che Luca Marini porta con sé, al suo debutto in classe regina, una carica di interesse mediatico e un peso di aspettative e forse anche di pressione notevoli, dovuto al fatto di essere l’erede di uno dei piloti più vincenti nella storia del motociclismo.
Essere fratello d’arte, insomma, ha i suoi svantaggi. Ma non solo. “Non definirei un peso il fatto di essere il fratello di Valentino Rossi, è una cosa che ha i suoi lati positivi e i suoi lati negativi”, racconta ai microfoni del Foglio Quotidiano. “Ma è anche una cosa che non posso cambiare e sono felice che lui sia mio fratello, perché è una figata. Non c’è nessuno come lui nel nostro sport e avere al mio fianco il miglior pilota di sempre è una bella fonte di ispirazione”.
Rossi e Marini, le corse nel Dna
Ciò non toglie che Luca abbia mosso i suoi primi passi nel mondo delle due ruote tutto da solo: “È una figura che quando ho iniziato non era neppure così presente, ero solo Luca Marini e poi veniva il fratellino di Valentino Rossi, ma ‘il fratellino’ veniva dopo la virgola e quindi ho cominciato a fare il mio percorso insieme al mio babbo come hanno fatto tanti piloti nelle mini moto e poi nelle gare nazionali. Poi entrando nel Mondiale la cosa è cambiata, ma chissà magari un giorno si dirà Valentino Rossi, il fratello di Luca Marini“.
I motori, i due fratelli, ce li hanno proprio nella loro genetica: “Credo che il Dna da corsa io e mio fratello lo abbiamo preso tutto dalla mamma… poi lui ci ha messo un po’ di Graziano, io del mio babbo e sono venuto così. Ma esagera a dire che sembro un quarantenne, qualche anno in meno poteva anche darmelo”.
Il presente e il futuro dei due fratelli
Tanto che il Maro si è reso conto molto presto di quale fosse la sua autentica vocazione: “A 14 anni avevo capito che la cosa che mi piaceva di più e mi emozionava di più era correre in moto e ho cominciato un lavoro specifico, ad allenarmi, a circondarmi di persone che potessero aiutare me e il mio babbo a prendere le decisioni giuste. Qualche volta abbiamo anche sbagliato. Ma sono fiero della strada che ho fatto fino ad ora”.
Da Valentino Rossi, Luca Marini ha imparato molto: “Non riesco a dire qual è il consiglio più prezioso che mi ha dato mio fratello. Mi piace parlare con lui delle cose pratiche, di quello che serve per andare più forte in moto e sono sicuro che quest’anno correndo nella stessa categoria avremo ancora di più da raccontarci. Ma non voglio che Vale pensi a me, lui deve pensare al suo lavoro e io al mio”.
Lavoro che, per il Dottore, è ancora quello di pilota, anche a 42 anni suonati. Ma il futuro, quando deciderà di appendere il casco al chiodo, che cosa riserverà a Vale? Difficilmente un posto al muretto nel suo team Sky VR46, afferma Marini. “Non lo vedo come team manager”, chiosa. “Vale farò ciò che lo diverte di più, per ora è fare il pilota”.