Nel giorno che segna il ventisettesimo anniversario dalla morte di Ayrton Senna, TuttoMotoriWeb.it intervista lo scrittore Diego Alverà
Sono trascorsi esattamente ventisette anni da quel maledetto 1° maggio del 1994, quando alla curva del Tamburello del circuito di Imola perdeva la vita Ayrton Senna. Eppure il brasiliano, tre volte campione del mondo, continua ad essere non solo amatissimo, ma straordinariamente di attualità persino nella diversissima Formula 1 di oggi.
Per ricordare la storia fatale di Magic, ma soprattutto per raccontare l’eredità che ha lasciato al mondo delle corse, TuttoMotoriWeb.it ha raggiunto lo scrittore Diego Alverà, autore del romanzo “Ayrton Senna. Il predestinato”, dello spettacolo dal vivo e del podcast omonimo, in uscita proprio in queste ore su tutte le piattaforme di ascolto e sul sito di Storie avvolgibili.
Diego Alverà, in questi anni Ayrton Senna lo si è raccontato in tanti modi. Qual è il contributo nuovo che ha provato a dare con questo podcast?
Il racconto del podcast è molto più libero e immersivo: legato all’audio, alla voce, alla parola, ai suoni, alle musiche. Non è una storia né una cronaca, perché non sono né un giornalista né uno storico. Sono un narratore: e ho cercato di raccontare quello che c’è dietro un’icona come quella di Ayrton. Perché la sua vicenda ci racconta ancora oggi un sacco di cose. Soprattutto se lo togliamo da quel piedistallo che un po’ la retorica, un po’ la nostalgia gli hanno riservato. Credo che nella storia di Ayrton ci siano molti messaggi preziosi, che vanno messi in bottiglia e consegnati alle persone. Nelle curve che faceva lui ci sono molti più stimoli e insegnamenti rispetto a quelli che pensiamo abitualmente.
Se dovesse scegliere un insegnamento su tutti, il più prezioso che ha raccolto da Ayrton e che si porta dietro?
Il suo modo speciale di coltivare un rapporto con la velocità. Per lui era intimo, poi per tutti è diventato spirituale. Lo aveva sviluppato fin da molto piccolo, quando faceva fatica a reggersi in piedi. I suoi pediatri erano molto preoccupati perché questo ragazzino non cresceva e avrebbe dovuto affrontare la vita da una posizione svantaggiata. Quella, in realtà, è diventata la sua forza. Come se avesse messo insieme il coraggio di mantenere autenticità delle sue idee, il grande carattere, l’attitudine empatica a rimanere sempre davanti ai riflettori, con una concezione della vita come progressione. Lui diceva sempre di non correre tanto per la gloria o per i soldi, ma per provare quelle emozioni.
È per via di questa tempra, che si è creato durante l’infanzia, che l’ha definito “predestinato”?
Sì. Era scritto nelle stelle: non tanto per i suoi successi, quanto per questa rara e preziosa capacità che il destino gli aveva riservato fin dai primi giorni di vita. Penso alla sua prima gara in kart, quando aveva otto anni, in un parcheggio di un centro commerciale. Non c’erano qualifiche: per determinare la griglia di partenza lo fecero pescare un bigliettino da un casco. E lui, che era il più piccolo e correva contro ragazzini che avevano quattro o cinque anni di più, prese il numero 1. Abbiamo già detto tutto.
Ventisette anni fa sentivamo addosso soprattutto il dolore della perdita. Oggi, raccontandolo in prospettiva, forse ci rendiamo più conto di quanto Senna non sia stato un campione come tanti altri, ma abbia lasciato un’impronta indelebile nella storia.
Sono assolutamente d’accordo. Per tutti, quel 1° maggio 1994 è come se fosse ieri. La presenza di Ayrton non è mai mutata. Il tempo, che sfidava sulle piste, lui è riuscito a ingannarlo sul serio, a sconfiggerlo. Ventisette anni sono un’enormità, per le nostre piccole vite: per lui, invece, non sono mai passati. È attualissimo, è ancora lì, con il suo carico di sogni, di visioni, di fragilità, ma anche di determinazione e di certezze.
In F1 è passata un’era geologica. Oggi domina Lewis Hamilton, che nel 1994 aveva nove anni: forse Senna visto dal vivo non se lo può ricordare. Eppure, quando gli si chiede chi sia il suo idolo, nomina anche lui Ayrton. Che eredità ha lasciato, alle corse di oggi?
Tuttora, sulla statua a lui dedicata al Tamburello, a Imola, ci sono ragazzi giovani che appendono lettere a lui dedicate. Eppure lo hanno visto solo nei filmati d’epoca, o lo hanno sentito raccontare. Secondo me, perché riconoscono in lui lo spirito vero della velocità. E una relazione speciale con il suo pubblico. Quando raccontava la sua esperienza, bucava le telecamere. Perché aveva dentro un sacro fuoco, che è uscito e ha continuato a propagarsi nel corso degli anni.
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