Jean Todt, oggi presidente della Fia ma storico team principal della Ferrari, racconta un suo periodo molto brutto a Maranello
Il suo ruolo, oggi, gli impone di essere super partes, e lui lo ricopre in effetti con autorevolezza ed equità. Ma quando si parla di Jean Todt, oltre a menzionare l’attuale presidente della Federazione internazionale dell’automobile, si cita un nome il cui passato è inevitabilmente legato a doppio filo a quello della Ferrari.
Il team principal francese ha tenuto le redini del Cavallino rampante nell’epoca leggendaria dei titoli mondiali a ripetizione vinti da Michael Schumacher. E dunque sa bene che cosa serva per portare Maranello alla vittoria, e può dare dei consigli interessanti al suo successore Mattia Binotto.
Il bilancio di Todt sulla Ferrari: cosa va e cosa no
Todt, augurandosi per il bene della Formula 1 che la Rossa riprenda al più presto il ruolo di vertice che le compete per motivi storici, promuove ad esempio i portacolori attuali Charles Leclerc e Carlos Sainz, ma avanza delle perplessità invece a livello tecnico. “Il nostro sport e l’automobilismo hanno bisogno di una Ferrari forte, i passi avanti attuali sembrano interessanti”, afferma ai microfoni del Corriere della Sera. “Penso che ci sia voglia e capacità, a livello di piloti sono a posto. Manca un insieme, ovvero macchina, motore, telaio e aerodinamica. Tutto deve essere al livello più alto. Qualche millesimo di secondo può decidere”.
Senza nulla togliere alla squadra che ha dominato gli ultimi anni della Formula 1, infatti, è giunto il momento di trovare un rivale all’altezza: “Ammiro il dominio della Mercedes, anche se vorrei più competizione. Con Hamilton sono sempre sul pezzo, avrebbero potuto rilassarsi e invece non è successo. La loro motivazione e la loro fame sono totali”.
La Ferrari sta ripartendo dopo il disastro del 2020. Un po’ come accadde all’arrivo di Todt, che dovette ricostruire praticamente da zero una Scuderia a pezzi. Ma fare paragoni tra oggi e ieri è impossibile. “Sono epoche e aziende diverse”, conclude Jean. “Sono arrivato nel luglio 1993 e la situazione a Maranello era drammatica. La macchina, progettata in Inghilterra, si rompeva, la galleria del vento dovevamo affittarla. Gli uffici di disegno erano vuoti. L’unica cosa buona era il cibo”.
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