L’ex pilota di Formula 1 Jarno Trulli riflette sui pericoli degli sport motoristici dopo l’incidente fatale di Jason Dupasquier in Moto3
L’incidente fatale di Jason Dupasquier, sfortunato 19enne pilota di Moto3, rimasto ucciso questo weekend nel corso delle qualifiche del Gran Premio del Mugello, ha purtroppo riaperto il tema, sempre controverso e delicato, della sicurezza nelle corse.
Quando si corre su due o quattro ruote, con un motore sotto al sedere, si mette in gioco la propria vita. E questa è una verità forse scomoda, ma della quale tutti gli addetti ai lavori sono ben consapevoli, senza farsi illusioni. Ne sa qualcosa Jarno Trulli, ex pilota di Formula 1, che pur essendo stato coinvolto nelle auto e non nelle moto, è rimasto come tutti fortemente toccato dalla tragedia di questo fine settimana.
Trulli commenta l’incidente di Dupasquier
“Gli sport motoristici sono pericolosi, e in particolare le moto più delle auto perché lasciano il fisico esposto”, ha commentato sul quotidiano La Stampa. “Ma ci sono discipline più pericolose ancora, e non possiamo bandirle sulla base di una classifica del rischio”.
Il pericolo è inevitabile, ma non è un buon motivo per mettere le gare motoristiche sul banco degli imputati: “La velocità per un pilota diventa passione, la passione si trasforma in lavoro e a quel punto devi fare i conti con i rischi e le paure: sai che esistono, li metti in un angolo della tua testa, ci convivi e vai avanti”, prosegue Trulli.
Naturalmente, quando questo rischio teorico si verifica poi nella pratica, a livello emotivo è dura da digerire: “La morte su un campo di gara di un ragazzo giovane come Jason Dupasquier fa male e ci segna per sempre, eppure in qualche modo dobbiamo voltare pagina, senza dimenticare che al suo posto avresti potuto esserci tu”, aggiunge Jarno.
Insomma, drammi come quello di Dupasquier non devono essere inutili, ma aiutare ad accendere il faro sul tema della sicurezza, in merito alla quale l’attenzione non è mai abbastanza. “Ognuno percepisce a modo proprio le incertezze di questo mestiere, consapevole che la fatalità è sempre lì, che tu stia guidando a 300 chilometri l’ora o attraversando sulle strisce pedonali”, conclude l’ex pilota pescarese. “Per 15 anni sono stato in Formula 1 e ho avuto a che fare tutti i giorni con il pericolo. E oggi sono più consapevole di quanto ho rischiato”.
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