Oggi, 4 luglio, Kato avrebbe compiuto 45 anni. Una stella, scoperta da Gresini, che brillò troppo poco. Un talento vero, scomparso nel 2003
Era il 4 luglio del 1976 quando in Giappone nasceva Daijiro Kato, uno dei più grandi talenti della MotoGP di inizio millennio. Un pilota veloce, che avrebbe puntato al Mondiale se non fosse andato via troppo presto, nel 2003, durante il GP di casa a Suzuka.
Gli esordi di Daijiro Kato
Iniziò a gareggiare con le minimoto fin da bambino, diventando per quattro volte campione giapponese della categoria. Per Kato le gare in pista cominciarono nel 1992, e cinque anni più tardi vinse il campionato nazionale di velocità nella classe 250.
Arrivò nel 1996 l’esordio nel Motomondiale, come wild card della classe 250, concludendo terzo sul circuito casalingo di Suzuka, proprio quello dove nel 2003 trovò la morte. Nel 1997 la nuova chance, sempre in casa, ma stavolta arrivò il trionfo. E a portarlo definitivamente nel Mondiale fu nel 2000 Fausto Gresini, uno che di talenti ne capiva eccome.
In sella a una Honda, Kato vinse 4 gare e si piazzò terzo in campionato alle spalle del duo Yamaha composto da Olivier Jacque e da Shinya Nakano ma davanti a tutte le altre Honda e, soprattutto, davanti a tutte le Aprilia, comprese quelle ufficiali affidate a Ralf Waldmann e a Marco Melandri. Ma è l’anno successivo, il 2001, a trionfare. Portò a casa praticamente 11 GP su 15, un dominatore in pieno stile. E il salto in MotoGP era inevitabile.
La troppo breve parabola in MotoGP
Nel 2002, l’anno dell’inizio dell’era MotoGP, Daijiro arrivò nel Mondiale con una vecchia Honda Nsr-500, sempre curata dal team Gresini. Ma impiegò solo 3 gare per salire sul podio (secondo a Jerez nel Gran Premio di Spagna). Le prestazioni c’erano, tanto che la Honda per le ultime gare gli mise a disposizione la RC212V, ma Kato non andò oltre 2 quarti posti in Australia e a Valencia.
Era il 2003 l’anno in cui doveva consacrarsi: con una MotoGP tra le mani, il giapponese poteva lottare contro un mostro sacro come Valentino Rossi. E invece all’esordio a Suzuka il terribile schianto, dopo appena due giri, che mise fine a una favola che, di certo, sarebbe stata iridata.
I numeri parlano chiaro: oltre al mondiale vinto in 250, in 56 gare disputate, 17 vittorie, 27 podi, 11 pole position, 11 giri veloci. Ma Kato era molto di più. Era un pilota molto simile a Marco Simoncelli, così aperto, così poco giapponese. Forse anche perché proprio Gresini lo portò a vivere in Italia, a Misano, e praticamente crebbe come un “italiano”. Una vita spezzata troppo presto, come il Sic. Due campioni accomunati da uno stesso destino.
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