Franco Morbidelli parla della sua vita da pilota, dell’importanza di questo sport e degli standard di sicurezza.
Franco Morbidelli ha dovuto saltare la gara di Assen per l’intervento al ginocchio e probabilmente non ritornerà in pista prima della gara a Misano prevista a settembre. Il pilota italo-brasiliano si è sempre distinto per la sua umiltà e senso dell’equilibrio, oltre che per la velocità. E in un video realizzato da Dainese parla della sua vita e del rapporto con il motociclismo, in un primo episodio intitolato “Franky’s Cave”.
La passione per le due ruote è nata sin da quando era bambino, tanto da spingerlo a lasciare Roma per trasferirsi a Tavullia. “Sono un ragazzo semplice, nato in una grande città come Roma, ma presto trasferitosi in un paesino molto piccolo”, racconta Morbidelli riferendosi al trasferimento a Babbucce nel comune di Tavullia. “Mi piacciono le cose semplici: fare una passeggiata con gli amici o giocare a calcio, o solo passare del tempo insieme. Mi piace stare nel mio angolo, nella mia zona di comfort. Sono un ragazzo calmo, cerco calma e serenità. Ma a volte sono anche capriccioso”.
L’importanza dello sport e della sicurezza
Lo sport in genere lo ha plasmato nel carattere e nella vita. Il motociclismo in particolare gli ha insegnato tanto. “Il motociclismo è uno sport che di per sé ti dà una quantità incredibile di adrenalina. Non è assolutamente necessario correre. Salire su una moto, percorrere i rettilinei ad alta velocità e cercare di prendere le curve il più velocemente possibile ti dà solo tanta adrenalina”. Uno sport che potrebbe essere paragonato a qualsiasi altro, ma che ha la sua particolarità distintiva. “Ma la moto ha un fascino molto particolare perché fa rumore, è meccanica, ci si siede sopra… Quasi come se fossi un cavaliere dell’età moderna”.
Ma non si tratta di adrenalina dovuta alla pericolosità di questo sport, un elemento che non attira il nostro Franco Morbidelli. Fortunatamente gli standard di sicurezza sono notevolmente cresciuti negli ultimi anni. “Dall’esterno, questo può essere un elemento che aumenta l’appeal, ma non per me. Il pericolo è uno dei lati negativi del motorsport: purtroppo è pericoloso. Negli anni ’70 o ’80, quando le piste erano molto più pericolose, l’intera situazione era molto più dura e l’abbigliamento protettivo e la tecnologia attorno al pilota erano ancora meno avanzati. Quindi non so se sarei diventato un pilota da corsa. Mi ritengo fortunato di essere nato in quest’epoca in cui gli standard di sicurezza sono elevati”.
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