Dall’esordio in 125 ai titoli in 250 e 500, fino ai trionfi in MotoGP. Ecco cosa è stata la lunga carriera nel Motomondiale di Valentino Rossi
Con l’annuncio del suo addio a fine 2021, Valentino Rossi ha scatenato nel mondo una valanga di commenti. Ma anche di ricordi. Perché in una carriera partita nel 1996, quantomeno quella nel Motomondiale, ha lasciato tante immagini, che rimarranno per sempre nella storia di questo sport.
Era il 1996 quando Valentino Rossi fece capolino nel Motomondiale nella classe 125, dando inizio a una carriera straordinaria. Un ragazzino con i capelli biondi e lunghi, dalla faccia sbarazzina e sempre pronto allo scherzo. Uno che non puoi non notare nel paddock e che ha conquistato fin da subito tutti. Anche a suon di grandi prestazioni.
Dopo l’esordio, il primo trionfo arrivò nel GP della Repubblica Ceca, a Brno, con un’Aprilia. La prima di una lunga serie, perché già da tutti quel Rossi era visto come un campione nato. E nel 1997 arrivò infatti subito il primo titolo iridato. L’anno successivo il salto in 250, sempre con la moto italiana. Un anno di apprendistato e poi nel ’99 per la seconda volta campione del mondo. Una carriera fulminea che aveva colpito subito i grandi della 500. Che cominciarono a guardarlo con occhi diversi, tra lo stupore e la paura. Anche perché nel 2000 arrivò il salto tra i grandi, con una Honda ufficiale ma in un team satellite.
A temere di più Rossi fu da subito Max Biaggi, con cui il campione di Tavullia fin da subito instaurò un rapporto fatto di scontri non solo in pista ma anche verbali. Una rivalità feroce, che però ha regalato tanti momenti spettacolari sui circuiti di tutto il mondo.
Al suo esordio nel 2000 Rossi sfiorò per poco l’impresa, battuto dalla Suzuki di Kenny Roberts Jr. Ma l’anno dopo cominciò a mettere le cose in chiaro. E non ce ne fu per nessuno. Terzo titolo in tasca e, con il passaggio nel 2002 all’era MotoGP, la storia non cambiò. Due titoli di fila, sempre con Honda, poi la rottura con la casa giapponese, che riteneva la moto più importante del pilota, e il clamoroso passaggio alla Yamaha, all’epoca in crisi tecnica e di risultati, grande rivale della Honda.
Un azzardo, secondo tanti, ma per Rossi era una scommessa vincente. E l’esordio fu da sogno. A Welkom, in Sudafrica, subito pole e in gara una sfida all’ultimo sorpasso proprio con il rivale di sempre Biaggi, su una Honda ufficiale, quella lasciata da qualche mese proprio dal pesarese. E il trionfo, con tanto di stop a bordo pista per sfogare tutta la sua soddisfazione per l’impresa compiuta e chissà, qualche lacrima.
Dopo quella vittoria, per Rossi si aprì una nuova era, fatta di successi, come i due titoli tra 2004 e 2005, ma anche di delusioni. Come nella difficile annata 2006, quando la M1 lo costrinse più volte al ritiro e perse la sfida con Nicky Hayden per una caduta proprio all’ultimo atto a Valencia. O come nel 2007, quando dovette capitolare contro il nuovo astro nascente del motociclismo, Casey Stoner, che trionfò con la Ducati.
Nuovi avversari a contendergli lo scettro di migliore. Ma Rossi non si è mai fatto intimorire. Anzi. Lui ha trovato nuovi stimoli e, come sempre ha fatto, è riuscito a superarsi. E a vincere, di nuovo. Nel 2008, dopo una sfida serrata con l’australiano, l’ennesimo Mondiale, con tanto di crollo psicologico di Stoner, dovuto alla sfida con Rossi, che annientò il rivale anche con sorpassi super, vedi quello a Laguna Seca. Nel 2009 il bis, concesso battendo un altra nuova leva, Jorge Lorenzo (memorabile la vittoria a Barcellona davanti ai tifosi del maiorchino, maturata all’ultima curva con un sorpasso impossibile). Un confronto questo che lo portò poi all’addio alla Yamaha a fine 2010, dopo una stagione fatta di tensioni, culminata con il primo vero grave incidente della sua carriera, al Mugello, che lo lasciò fuori per diverse gare e gli impedì di dare la caccia al titolo.
Per Rossi c’era una nuova sfida da portare a casa, quella con la Ducati. Vincere con la moto italiana lo avrebbe fatto entrare non solo nella storia, ma nel mito delle due ruote, come se già non ci fosse. E invece stavolta il miracolo visto in Yamaha non riuscì. Il rapporto con la Desmosedici fu fin da subito molto difficile. In due stagioni pochi podi, tante delusioni, compresa l’amarezza per la tragedia consumatasi a Sepang nel 2011, con la tragica morte del suo amico Marco Simoncelli, in un incidente che vide coinvolto lo stesso Rossi.
Nel 2013 però, quando tutto sembrava pensare a un addio, ecco la nuova chance in Yamaha, la sua vera “amata”. Il ritorno alla vittoria e dal 2014 al 2016 il titolo di vice-campione del mondo. In mezzo quel Mondiale 2015 coltivato e sognato a lungo, il decimo titolo che sarebbe stata la ciliegina su una torta già buonissima. Ma che invece si infranse contro Marc Marquez e uno scontro che andò ben al di là della pista, culminato con l’incidente in Malesia, le polemiche e la penalità per l’ultimo GP, quello decisivo, di Valencia, dove la rimonta dal fondo del gruppo non permise a Rossi di vincere il titolo, andato poi al rivale-compagno Lorenzo, anche grazie all’aiuto del nuovo antagonista del campione di Tavullia, Marquez.
Da quel momento in poi una parabola discendente per il Dottore, alle prese con le difficoltà di una M1 e di una Yamaha non all’altezza dei rivali. Una storia che, piano piano, si è andata a rovinare, fino alla rottura lo scorso anno, con il passaggio nel 2021 al team satellite Petronas. Ed eccoci arrivati a oggi, con una prima metà di stagione disastrosa e la decisione, arrivata adesso, di dire basta. Dopo anni di trionfi e di sfide memorabili. Che neanche anni senza successi hanno scalfito.
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