Il pilota Jack Brabham realizzò il sogno di una scuderia con il suo nome nel 1962. Tanti successi e una mesta fine arrivata nel 1992
Dopo essersi formato tecnicamente alla Cooper, per la quale corse dal 1957 al 1961, vincendo 2 titoli mondiali di F1, Jack Brabham a un certo punto cullò un sogno: quello di formare una scuderia che portasse il suo nome. Una pazzia, non per così sconosciuta all’epoca. Certo è che gli esempi vincenti sono stati davvero pochi. Ma la Brabham rientra tra questi.
Fu nel ’62 che Brabham fondò, con base nel Surrey, la MRD (Motor Racing Developments), sigla a cui in seguito antepose il suo nome, per la costruzione di vetture, destinate anche a clienti per le categorie inferiori. Al contempo costituì il team Brabham Racing Organisation per curare la gestione sportiva delle vetture di Formula 1 prodotte dalla prima società.
Le prime vetture costruite nel 1961, delle Formula Junior furono denominate “MRD”, ma quando il giornalista automobilistico Jabby Crombac fece notare che “modo con cui un francese, pronuncia queste iniziali secondo la fonetica, suona pericolosamente come la parola francese merde”, Brabham decise subito di dargli il suo nome.
Ad aiutare Brabham nella progettazione dei telai arrivò Ron Tauranac, un vero mago nel suo campo. La prima vettura per la F1 arrivò in pieno 1962, ma il Gran Premio di Germania. Jack decise di scendere in pista portando una sua vettura. Era il 5 agosto, un debutto davvero di fuoco. Sì perché non solo si corse al Nurburgring in piena estate, ma anche perché Jack Brabham dovette ritirarsi al 9º giro per la rottura del cambio. I punti arrivarono comunque nella stagione stessa grazie a due quarti posti ottenuti negli ultimi due Gp.
I primi successi arrivarono con Dan Gurney durante il campionato 1964 e le vittorie continuarono anche nel 1965. Alla fine di quella stagione, Dan Gurney decise di lasciare la scuderia “obbligando” Brabham a scendere di nuovo in pista. E proprio nel 1966, grazie alla motorizzazione Repco, Brabham riuscì a conquistare il titolo. Fu il primo pilota-costruttore a riuscirci.
L’anno successivo toccò al compagno Hulme a trionfare, prima del burrascoso addio. Poi nel 1970 l’addio di Brabham alla scuderia, che subì il contraccolpo. Tanto che passò nel giro di poco tempo nelle mani di quello che diventò poi il patron della F1, Bernie Ecclestone.
L’inglese, uomo d’affari spregiudicato, prima cercò fortuna con un accordo per i motori Alfa Romeo, ingaggiando anche Niki Lauda, poi si affidò a Cosworth. Intanto nasceva la stella di Nelson Piquet, che prima contese il titolo 1980 ad Alan Jones, poi conquistò l’iride nel 1981. Un bis che arrivò nel 1983, quando la scuderia era passata ai motori BMW.
Fu davvero l’ultima grande avventura, prima del declino. La Brabham infatti prima passò di mano nel 1987 al al finanziere svizzero Luthi, che finì in carcere per frode fiscali. Fu il momento che cambiò le sorti della scuderia, che visse i suoi ultimi anni nei bassifondi della F1. Unica soddisfazione l’aver portato in pista l’italiana Giovanni Amati. Poi nel 1992 l’addio definitivo.
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