I team di F1 hanno bloccato la gara per la standardizzazione dell’equipaggiamento per i pit stop. Cosa succederà nel 2022.
Con la scusa della riduzione dei costi la Federazione Internazionale sta togliendo sempre più libertà alle scuderie del Circus di esprimersi e di giocare con le proprie intuizioni per trovare dei vantaggi rispetto alla concorrenza.
No all’ala flessibile, no neppure al cambio gomma al di sotto dei due secondi. Giusto per nominare due provvedimenti recenti. E il futuro per i protagonisti della classe regina potrebbe essere ancora più restrittivo.
Tanto per fare un esempio, l’ente federale aveva proposto un tender per la definizione di alcune componenti della strumentazione per i pit stop da far diventare comuni a tutti i team. Un modo formale per scoraggiare investimenti e studi orientati alla scoperta di metodologie per abbreviare le procedure di sostituzione degli pneumatici. Un danno per le varie Ferrari, Mercedes, ma soprattutto Red Bull che negli ultimi anni avevano dedicato parecchie risorse al tema e che per ora non ha trovato compimento.
L’intenzione, a sensazione, è quella di trasformare la massima serie in una sorta di categoria americana ed infatti il materiale standardizzato per il cambio “scarpe” è già in uso in un campionato come la NASCAR.
Ma c’è di più. La commessa per il debutto del 2022, che come detto non avverrà, era stata affidata alla Dino Paoli, attivo nelle corse USA. A spingere verso l’uniformità del sistema, l’esigenza di maggior sicurezza, così da evitare il più possibile i temuti “unsafe release” che costano alle squadre soldi e a volte punti. In realtà finora in F1 non si sono mai, fortunatamente, verificati episodi gravi. Al contrario, negli Stati Uniti è capitato in passato che anziché avvitare tutti e cinque i bulloni di ciascuna ruota ne venissero fissati tre per agire con rapidità.
Chiara Rainis
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