Nico Rosberg avrebbe avuto l’opportunità di guadagnare una cifra astronomica, eppure ha rinunciato: ecco quale motivo lo ha spinto
Poteva guadagnare circa cento milioni di dollari, eppure ha scelto di rifiutare. Una scelta tanto clamorosa quanto da applausi, quella di Nico Rosberg, che ha preferito mantenere la propria integrità piuttosto che cedere alle lusinghe dei soldi.
È avvenuto nel 2016, quando, solo cinque giorni dopo aver vinto il campionato del mondo di Formula 1 con la Mercedes, battendo il suo compagno di squadra, e iridato in carica, Lewis Hamilton, il tedesco annunciò che avrebbe appeso il casco al chiodo.
In quell’occasione rinunciò ad un potenziale guadagno davvero da record. “Volevo evitare di andarmene dopo essere diventato un ex campione, o una persona non più gradita”, ricorda oggi, a cinque anni di distanza, ai microfoni della rivista Times. “Voglio dire, ho detto di no a cento milioni di dollari che erano sul tavolo. Volevo una vita diversa. Quando corri non hai flessibilità. Questa è stata la decisione migliore per la mia famiglia: non ho pensato ai soldi nemmeno per un secondo”.
Da allora, il 36enne non si è infatti mai guardato indietro. Ha intrapreso una carriera di successo come imprenditore nel campo dell’ecologia e ha respinto tutte le offerte di rientrare attivamente nell’automobilismo. L’unico legame che mantiene con le corse è quello di proprietario di una squadra attiva nel campionato di Extreme E, dedicato alle corse fuoristrada elettriche.
Rosberg, l’amore e l’odio con Hamilton
Nella stessa intervista, Rosberg ha parlato anche della sua lunga amicizia con Hamilton, iniziata ai tempi in cui entrambi correvano nei kart e poi rovinata durante la loro burrascosa convivenza in Mercedes.
“Per questo alla fine i rapporti si rompono, perché la posta in gioco è troppo alta”, ha proseguito. “Troppa fama, troppi soldi. C’erano due fazioni: quella di Nico e quella di Hamilton. E i suoi tifosi erano contro di me, ovviamente. Una volta ho incontrato queste bambine di quattro anni davanti a me con i loro genitori, che mi facevano: ‘Buuu’, con il pollice verso il basso. I genitori avevano detto loro che ero cattivo e che mi dovevano fischiare…”.