Lo spettacolare incidente di Monza tra Hamilton e Verstappen ha portato a nuove riflessioni sui progressi della sicurezza in F1.
A dirlo è stato il boss Mercedes Toto Wolff ancora a caldo, ma probabilmente lo abbiamo pensato anche tutti noi che stavamo guardando il GP di Monza da casa o dal circuito. Se non ci fosse stata l’aureola che protegge l’abitacolo, oggi staremmo raccontando un’altra storia. La monoposto di Verstappen sopra quella di Hamilton. La ruota della RB16B che passa a pochi millimetri dalla testa di Lewis, è stata un’immagine forte che non può non aver suscitato paura.
Il lavoro sulla sicurezza non lo si comprende mai a fondo se non ci si trova nella situazione giusta, ovvero quella capace di mostrare i suoi benefici. Già con Romain Grosjean lo scorso anno in Bahrain, avevamo fatto questa riflessione. E pure la collisione tra Bottas e Russell a Imola, pochi mesi fa, ci aveva fatto tornare alla mente il passato. Chissà quanti piloti, nelle attuali condizioni di complessiva affidabilità del mezzo, si sarebbero salvati.
Per qualche motivo, ogni volta che assisto a incidenti gravi nel Circus, mi rimbalza subito in testa un verso in particolare della canzone che Lucio Dalla dedicò a Senna, “Anche se non è servito a niente, tanto il circo cambierà città”. Credo che il Maestro abbia sbagliato. Il sacrificio di molti, quello di Ayrton nello specifico, è servito. E’ servito a far sì che ad esempio domenica Ham se la cavasse con solo un po’ di torcicollo.
“Sarebbe stato un crash orribile, a cui non voglio nemmeno pensare, se non avessimo avuto l’halo”, le parole sconvolte del responsabile della Stella, perfetto riassunto di un sentire comune.
E’ vero, forse certi strumenti protettivi hanno snaturato le auto da corsa, facendo perdere loro quell’appeal non tanto estetico, quanto legato proprio all’aspetto del pericolo incombente, però poter assistere ad un evento come quello brianzolo e vedere che nessuno è rimasto ferito o peggio, è un godimento ancora maggiore.
Chiara Rainis
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