Un grande ex della Ferrari ha le idee chiare sui motivi della crisi sportiva della Rossa di Maranello: c’è di mezzo un'”illusione”
La crisi, apparentemente senza uscita, in cui è precipitata la Ferrari in queste ultime stagioni è frutto di un clamoroso malinteso. Anzi, di una vera e propria “illusione” che si è creata nella mente dei vertici di Maranello.
A sostenerlo è un grande esperto di corse, che la Rossa la conosce bene, avendoci trascorso ben due periodi come pilota. Si tratta di Gerhard Berger, leggendario portacolori del Cavallino rampante tra gli anni ’80 e ’90.
L’austriaco, già corridore in Formula 1 e oggi responsabile sportivo del campionato turismo tedesco Dtm, ha le idee chiare sulle ragioni che impediscono alla Scuderia di essere vincente. E, prima ancora che di natura tecnica, i problemi sono umani, riguardano cioè la stessa struttura con cui è stata costruita la squadra.
“Penso che la Ferrari sia caduta nuovamente nella sua illusione di vincere il campionato con gli italiani”, è la disamina di Berger. “Non riesco a capirlo, perché alla fine se vince il successo resta comunque in Italia, dal momento che la Ferrari è una squadra italiana. Per avere un team di successo, devi prendere i migliori da tutto il mondo”.
Insomma, la formazione emiliana è ricascata in un errore già commesso in passato: quello di voler essere autarchica, sciovinista, di compiere una scelta di passaporto e non unicamente meritocratica per selezionare i propri uomini chiave.
Non è sempre stato così, nel passato: anzi, l’ultima grande epoca d’oro ferrarista, quella dei primi anni 2000, fu costruita da personaggi che non erano certamente nati nel nostro Paese.
“Quella volta fu incredibile, ma c’era un grande gruppo di lavoro con Jean Todt, Ross Brawn, Rory Byrne e Michael Schumacher“, sottolinea Gerhard. Che però chiude con una nota di ottimismo: “Anche ai miei tempi abbiamo vissuto periodi senza vittorie, e in quei casi si può andare avanti solo con il duro lavoro”.
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