Gli ultimi incidenti in Moto3 hanno riacceso le polemiche sulla sicurezza nel mondo del motociclismo. Ma la colpa non è solo dei piloti
Il motociclismo è uno sport pericoloso, non c’è dubbio. Nonostante negli ultimi decenni si siano fatti passi da gigante sotto l’aspetto della sicurezza (e ancora c’è tanta strada fare), si può poco contro le fatalità e la protezione (fisica) dei piloti. Ma si può, anzi, si deve, agire sul fattore umano. E gli ultimi episodi visti nel Motomondiale ad Austin, in particolare in Moto3 sono lì a dimostrarlo.
Le fatalità accadono in uno sport così pericoloso come questo, ma i fatti parlano chiaro: solo quest’anno tra Moto3 e serie minori ben tre incidenti che sono costati la vita ad altrettanti giovani piloti. Che, inevitabilmente sono finiti nel mirino, vista la loro esuberanza, accompagnata alla poca esperienza.
Moto3 (e non solo), situazione fuori controllo
Di sicuro qualcosa va fatto. Il pericoloso incidente visto ad Austin in Moto3 che ha coinvolto anche il leader del campionato Acosta ha scioccato tutti. Una manovra folle a pieno gas e solo il caso ha evitato che tutto si trasformasse, ancora una volta, in tragedia. A gran voce stavolta però tutto il paddock ha chiesto un intervento, per dare un segnale forte all’ambiente. L’ambizione porta tutti a strafare, andare oltre il limite. E questo non va bene, visto che già il rischio in pista è alto.
La penalizzazione inflitta ad Oncu di due GP sembra andare nella direzione giusta, ma non deve essere un’eccezione. Solo col pugno duro si può dare una lezione vera a tutto l’ambiente e a chi vuole andare “oltre”, fregandosene dei rischi che si possono correre. La vittoria, o semplicemente un piazzamento, non valgono la salute.
Ma occhio, perché a dare l’esempio devono essere anche i “maestri”. Anche in MotoGP e in Superbike infatti si sono vissuti momenti ad alta tensione negli ultimi weekend. Solo prendendo ieri, il contatto finale tra Joan Mir e Jack Miller, con conseguente lite a bordo pista, deve rammentare che anche a certi livelli ci vuole la “testa”. Che la pista non è un videogame dove se si cade, ci si rialza subito dopo come se niente fosse.
Show a tutti costi? No grazie
Ma, come sempre, non è possibile incolpare solo uno di una situazione che si sta aggravando di domenica in domenica. Se, come detto, si è fatto tanto in termini di sicurezza nei circuiti, ancora non basta.
Innanzitutto evitare che le gare siano uno show a tutti i costi, come capitato ad Austin. Prima una bandiera rossa ritardata dopo che un pilota (Salac) era sul cordolo in uscita da una curva sì lenta ma comunque pericolosa, poi la decisione di ripartire per una gara sprint che ha reso ancor di più pericolosa la situazione, con inevitabile nuovo incidente (quello che abbiamo raccontato). Una “leggerezza” che non ci si può permettere.
E poi troppe le categorie minori, quasi si voglia dare vita a uno show per forza, quasi si vada alla ricerca disperata di nuovi talenti che, alla fine, escono sempre, prima o poi. Categorie con oltre 40 piloti in pista, con moto dalle prestazioni così simili che non fanno altro che creare grossi e pericolosi ingorghi, che aumentano il rischio di cadute potenzialmente pericolose.
Infine le piste, che negli ultimi anni si sono trasformate in peggio. Se si finisce oltre il cordolo, niente più ghiaia e inevitabili rallentamenti. Oggi anche l’andare oltre la pista è possibile e lecito. E non è spettacolo questo, o coraggio. È incoscienza, innanzitutto del pilota, ma anche di chi ha deciso di aumentare lo spazio di asfalto ai bordi della pista. L’erba o la ghiaia una volta insegnavano a tutti che non si poteva dare gas a manetta e basta, ma che serviva rispettare le traiettorie e avere una guida pulita per conquistare qualcosa d’importante. Oggi invece neanche andare oltre il limite basta più. E su questo si deve ragionare seriamente. Anche in fretta.
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