Mick Schumacher rivela il diverso trattamento che è stato costretto a subire per via del fatto di essere l’erede del grande Michael
Certo, avere sulla carta d’identità un cognome come Schumacher spalanca tante porte, quantomeno nell’attenzione della stampa specializzata e nell’affetto dei tifosi. Ma essere figlio d’arte non è tutto rose e fiori.
Specialmente se tuo padre non è stato un pilota qualunque, ma una leggenda: sette volte campione del mondo di Formula 1. E allora è chiaro che il tuo debutto nel massimo campionato automobilistico non potrà mai essere uguale a quello di qualunque altro giovane emergente.
Se ne è accorto a sue spese Mick Schumacher, nel corso della sua prima stagione al volante della Haas, quando ha dovuto fare i conti con un trattamento diverso da quello dei suoi colleghi. Non solo da parte degli osservatori, ma anche dei rivali. “Ci sono piloti che sono più duri con me perché sono figlio di Michael”, ha rivelato ai microfoni de Il Giornale. “Ma non sanno che facendo così mi rendono solo un pilota migliore”.
Nonostante le difficoltà che porta con sé un’eredità così pesante, Schumino rimane ovviamente legatissimo a livello sentimentale con suo padre: “Le vittorie di papà le ho riviste tutte. Lui è il mio eroe, il mio esempio da seguire”. E lo è stato fin da quando mosse i suoi primi passi in pista: “Quando ho cominciato con i kart, mio padre dopo un po’ mi chiese: ‘Lo vuoi fare per divertirti o vuoi che diventi la tua professione?’. Lì ho deciso che avrei fatto il pilota”.
Il Michael Schumacher privato, ma anche il rapporto con la sua famiglia, sono emersi completamente solo nei giorni scorsi con l’uscita dell’omonimo documentario di Netflix, la prima vera occasione in cui si è potuto gettare uno sguardo dietro alla cortina di proverbiale riservatezza che ha sempre avvolto la leggenda della Ferrari.
“Non è stato difficile, è stato emozionante”, spiega suo figlio Mick. “Volevamo raccontare come papà è arrivato a vincere tanto con il lavoro, i sacrifici, la cura dei dettagli. Ma anche far emergere l’uomo che c’è dietro al campione, raccontare la persona e quello che proviamo tutti noi”.
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