Jack Miller ricorda bene il giorno del tragico incidente di Marco Simoncelli. E non vuole più vivere altri drammi nelle corse
Sono passati ormai quasi dieci anni esatti da quel maledetto 23 ottobre 2011. Quando un tremendo incidente al Gran Premio di Malesia di MotoGP, a Sepang, ci portò via per sempre il grande Marco Simoncelli.
Una tragedia rimasta impressa indelebilmente in tutti gli appassionati delle due ruote, e ancor più in tutti gli addetti ai lavori del Motomondiale che la vissero in prima persona. Tra questi c’era anche Jack Miller, all’epoca poco più di un ragazzino che muoveva i suoi primi passi nel circus iridato.
Ma quel momento non se lo potrà più scordare, per tutta la vita: “Ricordo che avevo solo 16 anni quando Marco Simoncelli fu vittima del suo incidente mortale a Sepang“, racconta oggi. “Quello era il mio terzo Gran Premio nella classe 125cc: fu tragico e tremendo. Quel giorno non se ne andrà mai dalla mia testa. Ricordo, ad esempio, come gli spettatori lanciavano bottiglie vuote ai meccanici che costruivano l’infrastruttura sul muretto dei box, perché la gara della MotoGP non sarebbe più ripresa dopo l’interruzione. Scene come questa non si dimenticano”.
Purtroppo quella non è stata l’ultima volta in cui il motociclismo ha dovuto piangere le morti dei suoi protagonisti. Anche quest’anno sono stati tante, troppe le giovani vittime delle gare: l’ultimo di questa triste lista era il cuginetto di Maverick Vinales.
“Guarda Dean Berta Vinales“, prosegue Miller. “È nato nel 2006, non molto tempo fa. Quel povero ragazzo. È caduto ed è morto. Orribile. Uno dei giovani piloti coinvolti nell’incidente durante la gara di Supersport 300 a Jerez è l’australiano Harry Khouri. Come me, vive ad Andorra: è a pezzi. Alcuni smetteranno di correre per questo, ma non credo che sia il modo giusto. Tutti sanno che questi rischi esistono e che possono verificarsi tragedie come questa. Ma non vogliamo nemmeno pensarci, nessuno vuole affrontarlo: il pericolo non può essere eliminato”.
Non può essere eliminato, certo, ma si può lavorare con attenzione e con impegno affinché si possa limitare il più possibile. Perché Miller, come tutti noi, non è più disposto a vivere drammi di questo genere.
“Penso di parlare a nome di tutti i miei colleghi quando dico che sono stanco di questi minuti di silenzio”, tuona. “Piangiamo bambini così piccoli: questo non deve continuare. Assolutamente no. Si possono migliorare le condizioni, si possono fare gare più sicure. Discutiamo della Moto3, ma anche nel Mondiale Supersport 300 si corre con moto molto veloci e ci sono troppi piloti in pista”.
Il pilota australiano della Ducati lancia dunque un appello accorato a favore della sicurezza nelle corse: “Il motociclismo è pericoloso, me lo sento ripetere sin da quando avevo sette anni. È fondamentale che si educhi alla consapevolezza che è fin troppo facile perdere la vita o ferirsi gravemente. Il pericolo non deve paralizzarci, ma non possiamo nemmeno ignorarlo, perché è sempre lì… Ho perso molti amici in incidenti di gara, alcuni in tenera età. A volte è difficile da digerire. Il nostro sport è duro, brutale. Ma una parte del fascino degli sport motoristici deriva proprio dal fatto che sono così crudi e pericolosi”.
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