L’unione tra McLaren e Honda avrebbe dovuto riportare ai fasti di epoca Senna e Prost ed invece ha fallito. Spiegato il perché.
Il sogno era riportare in vita il binomio glorioso che si era verificato a cavallo tra la fine degli anni 80′ e l’inizio dei 90′, quindi più avanti quando in scuderia era approdato Mika Hakkinen e ancora oltre con Lewis Hamilton. Ma la storia, si sa, non si ripete mai allo stesso modo e la collaborazione tra McLaren e Honda tra il 2015 e il 2018 venne vissuta come un trauma da entrambe le parti. Il team di Woking finì in fondo alla griglia come un nome qualsiasi alla deriva, e il motorista di Sakura fece la figura dell’incapace.
Cosa non ha funzionato?
Senza addentarci nelle accuse e nelle polemiche fatte scoppiare all’epoca da Fernando Alonso, ci limitiamo a riprendere il parere del boss del produttore nipponico nel Circus Masashi Yamamoto, il quale chiamato, in questi giorni a dire la sua sui motivi dell’insuccesso ha dichiarato: “Abbiamo avuto un eccesso di rispetto reciproco. Questo ha creato delle carenze, in special modo a livello di comunicazione. È stato un peccato che il progetto non sia andato bene”.
Se il ritorno di fiamma con i britannici non ha dato frutti, diverso è il discorso legato alla Red Bull. Con loro i progressi sono stati costanti, fino ad arrivare al titolo iridato di quest’anno con Verstappen.
Un traguardo notevole che però non ha mai fatto dubitare ai vertici del colosso asiatico la bontà della decisione di lasciare la F1 a fine 2021.
“Malgrado i buoni risultati non abbiamo mai avuto un ripensamento per rimanere”, ha evidenziato confermando che il rapporto con l’equipe di Milton Keynes diventerà di sola supervisione.
Per concludere sulle gare che più ricorderà di questo periodo vissuto a braccetto con gli energetici, il manager ha citato l’Australia 2019, primo podio dopo le stagioni orribili con McLaren e l’Austria, giusto qualche mese dopo, con il trionfo di Max.
Chiara Rainis