La Red Bull ha dato un’altra prova di forza a Zandvoort, ma non stiamo parlando di prestazioni. Ecco cosa è successo ai box.
Che la Red Bull fosse un team straordinario non lo abbiamo scoperto nel 2022 o la passata stagione. Gli uomini di Christian Horner sono al top della F1 dal lontano 2009, anno in cui i regolamenti vennero rivoluzionati e le regine dell’epoca, vale a dire Ferrari e McLaren, iniziarono il loro lento ed inesorabile declino che le ha portate alla mediocrità che ben conosciamo al giorno d’oggi.
Da quel momento in poi, il regno è passato al team di Milton Keynes ed a quella che sarebbe diventata dal 2010 la Mercedes, con la Brawn GP campionessa con Jenson Button prima del ciclo di quattro anni contraddistinto dal dominio di Sebastian Vettel. Dal 2010 al 2013, solo Fernando Alonso e la Ferrari hanno provato ad infastidirlo, con i miracoli dello spagnolo che lo portarono a sfiorare due titoli nonostante una macchina nettamente inferiore.
Con l’arrivo dell’era ibrida, la Red Bull ha dovuto cedere il passo alla Mercedes, inarrivabile sul fronte delle power unit per tanti anni, con sei titoli mondiali piloti vinti da Lewis Hamilton, uno da Nico Rosberg ed otto costruttori consecutivi, conquistati dal 2014 al 2021.
Tuttavia, questo lungo periodo di digiuno per il team di Milton Keynes non deve portarci a pensare che Adrian Newey ed il suo strepitoso staff tecnico avessero perso il loro smalto, ma tutto era causato dalla scarsa competitività ed affidabilità della power unit Renault. Su piste dove contava il telaio come Monaco, Singapore o Messico, le monoposto anglo-austriache hanno sempre combattuto per la vittoria, andando poi a soffrire dove contavano le velocità massime.
Ferrari e Mercedes, consapevoli della forza dei telai del genio britannico, si sono sempre rifiutati di fornire i loro motori alla concorrenza, con Helmut Marko ed Horner che hanno deciso di scommettere sulla Honda. La casa di Sakura, dopo anni di umiliazioni con la McLaren, è cresciuta a dismisura sin dall’inizio della partnership con i “bibitari”, sino a cogliere tre vittorie nel primo anno di collaborazione, ovvero il 2019. In tre anni, i giapponesi sono arrivati a produrre la miglior power unit, potente ed affidabile.
La Red Bull ha dato un’altra lezione alla Ferrari nel Gran Premio d’Olanda, e non soltanto sul fronte delle prestazioni. Da sempre, i meccanici del team di Milton Keynes sono i più veloci in assoluto nei cambi gomme, ed a Zandvoort ne abbiamo avuto l’ennesima conferma.
Mentre i meccanici della Ferrari causavano un unsafe release a Carlos Sainz nell’ultima sosta, dopo essersi presentati senza pneumatici alla prima, quelli della Red Bull sono andati a stabilire il nuovo record per la nuova generazione di monoposto. A Sergio Perez sono state cambiate le gomme in 2,09 secondi, la sosta più veloce di tutta la stagione.
Il primato assoluto è di 1,89 secondi, appartenente sempre al team di Milton Keynes, che al GP del Brasile del 2019 permise a Max Verstappen di volare verso la vittoria. Vi starete chiedendo perché vi stiamo parlando di un record se in passato si era fatto di meglio, ma è chiaro che i nuovi regolamenti abbiano cambiato le carte in tavola.
Dallo scorso anno, la FIA ha imposto una direttiva che ha leggermente rallentato i pit-stop in nome della sicurezza, e da questa stagione le gomme sono ben diverse rispetto a quelle che eravamo abituati a vedere. Prima di tutto, si ha meno presa, dal momento che sono più strette, ed inoltre le nuove monoposto ad effetto suolo sono provviste di una sorta di copri-ruota sopra agli pneumatici, che di certo non facilitano il lavoro dei meccanici.
Inoltre, va sottolineata anche la presenza dei copri-cerchi, che hanno portato le squadre a dover fabbricare delle pistole ben diverse da quello dello scorso anno, ma nonostante questo ci stiamo avvicinando sempre di più al primato assoluto. Ovviamente, in tutto questo, gli uomini della Ferrari continuano a sbagliare.
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