Non si è ancora fermato eppure il quattro volte iridato Vettel comincia già a sentire la mancanza dei motori. Ecco quale potrebbe essere il suo futuro.
Era il 2007 quando un giovane, biondo, dal viso angelico si affacciava alla F1. In quell’anno, come pure nel precedente, in forza nelle vesti di collaudatore della BMW Sauber, Sebastian Vettel venne chiamato per sostituire il titolare dell’equipe elvetica Robert Kubica, reduce da un violento incidente in Canada, in occasione del round degli Stati Uniti, che allora si disputava sul tracciato di Indianpolis. Come a volte accade negli incredibili giochi del destino, quell’opportunità arrivata un po’ per caso si rivelerà decisiva per il tedesco.
La sua performance americana, culminata con un ottimo ottavo posto, fu talmente convincente da portare il talent scout del gruppo Red Bull Helmut Marko, ad interessarsi alla sua persona e in seguito ad ingaggiarlo per l’anno successivo in Toro Rosso.
Nel 2008, pur al volante di una monoposto con evidenti limiti, il figlioccio di Michael Schumacher, definito da molti suo erede, si saprà presto mettere in luce. In particolare nel GP di Monza. Appuntamento disputato sotto la pioggia, che lo vedrà primeggiare tra lo stupore e l’euforia generale.
Proprio questo colpo a sorpresa si rivelerà un lasciapassare per al sua nuova promozione. Quella nel main team diretto da Christian Horner.
Il 2009, anno del miracolo Brawn GP e dell’intuizione del doppio diffusore,
sarà per lui di apprendistato, prima del deciso cambio di marcia. Dal 2010 al 2013, infatti, non ce ne sarà più per nessuno. Seb darà vita alla prima era energetica. Un’epoca gloriosa, per lui e per la squadra, che non mancherà tuttavia di regalare qualche tensione interna con il compagno di box Mark Webber. Un malumore latente, esploso in maniera definitiva in corrispondenza dell’appuntamento di Sepang nel 2013, quando il driver di Heppenheim non rispetterà l’accordo di congelamento delle posizioni. Un atteggiamento da prima donna che porterà l’australiano, stanco di doversi accodare al collega, a rendere noto di voler chiudere con il Circus a fine stagione.
Così, al suo posto, nel 2014, arriverà il connazionale Daniel Ricciardo. Un tipo tosto, di belle speranze, che metterà subito in difficoltà il #5, costringendolo alla fine a dover cedere le armi e andare altrove.
L’altrove in questione porta il nome di Maranello. Qui gli obiettivi sono alti. La volontà è di
riportare la Ferrari al titolo dopo un lungo digiuno. Ed invece il sogno non si
trasformerà mai in realtà. Stressato, frustrato e ormai soppiantato dal promettente Charles Leclerc, subentrato nel 2019 all’amico Kimi Raikkonen, verrà brutalmente mandato via ad annata 2020 ancora da iniziare e in piena pandemia.
Il 2021 lo vedrà quindi in griglia di partenza con la Aston Martin del magnate canadese
Lawrence Stroll. Ma pure qui i risultati non arriveranno. Anzi, spesso si troverà a navigare nelle ultimissime piazze. Quasi un affronto per un corridore con quattro titoli mondiali in
tasca. Nello specifico 53 vittorie di gara, 122 podi e 57 pole position.
Il 2022, invece, è storia attuale e ugualmente deludente. Ecco perché, alla vigilia del GP
dell’Ungheria, il 35enne non farà fatica ad annunciare la volontà di chiudere con la massima categoria dopo Abu Dhabi.
A fronte di tale decisione, la domanda che in molti si stanno ponendo è dunque, cosa farà il pilota dell’Assia in futuro? Si dedicherà soltanto alla famiglia come dichiarato? Si butterà in politica? O ancora diventerà un attivista per l’ambiente e per le tutela delle minoranze? La risposta per adesso non c’è. Ma, tutto è possibile. Anche il non preventivato.
A circa una settimana dal GP di Singapore, infatti, è emersa un’altra strada. Quella della
permanenza nella massima serie, sebbene con un ruolo diverso.
“Al momento non so cosa farò”, ha affermato al sito ufficiale della F1. “Il tempo ci dirà se ci saranno delle offerte plausibili di quella natura e da lì farò le mie valutazioni“.
“Per adesso sono contento al pensiero di dedicarmi a cose differenti e di stare con le mie
figlie. Poi magari mi annoierò dopo tre mesi o tre anni!”, ha proseguito aprendo ad un
percorso manageriale.
All’interrogativo invece se non si sia pentito di aver accettato le avances della verdona,
anziché tornare da “mamma” Red Bull nell’abitacolo lasciato libero a fine 2020 da Alex
Albon, Sebastian ha fatto spallucce.
“Ho scelto di andare nella scuderia con base a Silverstone ben prima che la posizione
dell’inglese venisse messa in discussione. Dunque, non vi è mai stata una reale trattativa.
Ovviamente conosco bene i due dirigenti e ho fatto quattro chiacchiere con loro. Ma nulla di
serio“, ha rivelato con un filo di rammarico.
“Ero consapevole che se mai ci fossero state delle chance concrete, ne avremmo almeno
dovuto parlare. Però non è mai successo. Come normale che sia, un paio di mesi dopo, mi
sono guardato indietro con una serie di “se” e “come sarebbe andata se”. In ogni caso sono
contento così”, ha considerato amaro, per un finale di carriera non bello e vincente come avrebbe voluto.
“Le attese erano di maggiore competitività, sia in questo Mondiale, sia in quello
passato. Purtroppo le cose sono andate diversamente. Comunque mi fa piacere
vedere quanto il team sia cresciuto. E come stiamo lavorando assieme. Non è certo il
massimo occupare i posti per cui stiamo battagliando. Tuttavia si trattava di
una sfida. Io l’ho accettata e ho cercato di tirare fuori il meglio possibile”, ha infine
filosofeggiato sforzandosi di guardare al bicchiere mezzo pieno.
A sei eventi dal termine l’ex ferrarista è 13esimo della generale conduttori con 20 punti, contro i 335 del leader Verstappen. Checché se ne dica, il suo ruolino di marcia si sta rivelando migliore di quello del collega di marca, nonché figlio del patron Lance, addirittura 18esimo con 5 lunghezze.
Sempre in merito all’avvenire di Vettel, sembra invece ormai naufragata l’ipotesi Formula E. Uno dei veterani della categoria, alias Lucas di Grassi, avrebbe fatto campagna negativa nei suoi confronti. Evidenziando quanto spesso in passato ha criticato la tecnologia elettrico e accusando di fare “green-washing“, ovvero essersi trasformato in paladino, a parole, dell’ambientalismo per annacquare le sue colpe di essere impegnato in una disciplina sportiva inquinante.
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