Il caso Perez ha creato nuove polemiche, che hanno investito in primis la Federazione ma anche la Ferrari. Ecco perché.
Con quasi tre ore di ritardo, la Red Bull e Sergio Perez hanno potuto festeggiare veramente la vittoria del GP di Singapore. Tutto per colpa di una decisione della FIA che tardava ad arrivare sulla possibile penalità da infliggere al messicano, reo per due volte, secondo la Ferrari, di non aver rispettato la distanza dalla Safety Car. Nel momento chiave, il messicano si è fatto prendere dall’ansia forse e dalla poca lucidità, commettendo una leggerezza che poi comunque i commissari di gara hanno punito con soli 5″ di penalità e una reprimenda. Una decisione questa che ha scatenato polemiche.
Sì perché la decisione presa dalla FIA in merito al pilota Red Bull sembra ,a detta di tifosi della Rossa e non solo, un’altra presa in giro. Infatti per episodi uguali in passato la mano era stata differente e ben più pesante. L’ultimo in ordine cronologico quello in Ungheria nel 2010, con Sebastian Vettel protagonista e che portò a 20″ di penalità per il campione tedesco.
Dunque verrebbe da pensare immediatamente che siamo di fronte di nuovo a un errore di una direzione gara che sembrava avere Michael Masi come il suo male interiore da estirpare per tornare a lavorare al 100%. Invece il cambiamento sembra proprio non aver sortito grandi effetti, anzi. Come detto da Mattia Binotto, team principal Ferrari, dopo il GP di Monza, la F1 corre veloce e merita decisioni altrettanto rapide. E anche a Singapore questo è stato il tallone d’Achille. Con le immagini chiare la FIA ci ha messo non solo la mezz’ora che mancava al termine della corsa, ma anche ulteriori tre ore per arrivare a una conclusione: una cosa inammissibile a certi livelli.
Ma soprattutto quello che emerge è che la F1 è piena di regole non-regole, con una discrezionalità eccessiva che porta a questi esiti. Servirebbe davvero un regolamento chiaro, che non crei dubbi, malumori, illazioni, che non fanno bene al Circus e alla sua credibilità. C’è però chi, in tutto questo, ha messo sotto accusa anche l’altro attore coinvolto nella vicenda, ossia la Ferrari, nella persona di Mattia Binotto.
Ferrari e Binotto rei di non farsi rispettare?
Il primo capo d’accusa è quello di aver segnalato via radio a Leclerc di tenersi entro i cinque secondi da Perez, facendo capire a più riprese che per l’infrazione tenuta dal messicano la possibile ammenda poteva essere quella più lieve possibile. A dire il vero il ragionamento fatto al muretto Ferrari non fa una piega, anche alla luce delle discutibili decisioni prese negli ultimi anni per episodi altrettanto gravi. Ma se voleva essere anche una critica velata già a quanto avrebbe potuto decidere la FIA, per molti è stata questa mossa quella che ha giustificato poi la Federazione a prendere proprio quel provvedimento e in quella forma.
Altra accusa, ben più forte, è quella al team principal e in generale alla Ferrari di non riuscire più a far valere le proprie ragioni, mostrando così una debolezza a livello politico che forse è arrivata al punto più basso della sua storia. Anche qui in effetti i tifosi potrebbero averci visto bene, visto che sono stati diversi gli episodi a sfavore della Rossa in stagione che non hanno mai trovato soddisfazione a livello FIA.
C’è da dire però che su Maranello pesa come un macigno il precedente del 2019, con il caso-motore mai realmente spiegato dal team e dalla Federazione stessa, dove gli effetti alla fine sono stati evidenti per la Ferrari (depotenziamento del motore per tutto il 2020 e in parte nel 2021), con un non voler dire tutto che sa tanto non solo di tutela della FIA e della propria credibilità ma anche di volontà di non voler danneggiare l’immagine di una scuderia storica come quella di Maranello.
Arrivano però ora giorni ancor più difficili, con il caso budget cap che forse sarà un termometro ancor più chiaro del poso politico in campo di ogni team. E solo così vedremo se hanno ragione i critici della Ferrari o meno.