Paolo Simoncelli ha scritto una lettera dedicata al figlio Marco ad 11 anni dalla sua scomparsa. Le parole emozionano i fan.
Il 23 ottobre del 2011 ci lasciava il grande Marco Simoncelli, lasciando una ferita che ancora non si rimarginata in tutti gli appassionati, e che, forse, non riuscirà mai a ricucirsi del tutto. Di quel giorno ricordiamo tutto, lo schianto, il corpo del “Sic” immobile sull’asfalto e con il casco staccatosi nell’impatto con la Yamaha di Colin Edwards e la Ducati di Valentino Rossi, ovvero il suo mentore.
Le notizie che arrivarono furono drammatiche fin dal primo momento, ed una mezz’ora dopo Paolo Beltramo ne annunciò il decesso in lacrime. Un personaggio del quale ci siamo innamorati immediatamente all’interno di questa terribile vicenda è Paolo Simoncelli, il padre di Marco, che nel suo dolore ha sempre dimostrato una dignità fuori dal comune.
Indimenticabili le sue interviste e le sue lacrime nei giorni successivi alla tragedia, e nonostante quanto accaduto, Paolo è riuscito sin da subito a rientrare nell’ambiente delle due ruote, iniziando a gestire un team di Moto3 nel 2012. Domenica scorsa, giorno in cui Pecco Bagnaia ha vinto proprio a Sepang, si è corso nello stesso giorno in cui, 11 anni prima, il “Sic” trovò la morte, diventando leggenda nel cuore di tutti noi.
Simoncelli, da Sepang la lettera di papà Paolo
Paolo Simoncelli non ha mai smesso di pensare a Marco dopo quello che è accaduto ormai oltre un decennio fa, ed ha creato anche una fondazione in suo ricordo. Il padre del rider romagnolo era in Malesia lo scorso fine settimana per seguire la sua squadra, ed ha scritto una lettera da brividi dedicata alla memoria del “Sic”.
I primi passi di quanto scritto da Paolo fanno salire il cuore in gola: “Cercare di raccontarvi Marco in poche parole è come chiedere a Reinhold Messner di scalare tutti i quattordici Ottomila, le montagne da ottomila metri del mondo, in un giorno solo. Vi scrivo da un circuito che si chiama SIC, che ironia della sorte, non porta questo nome così perché è stato dedicato a mio figlio ma perché è l’abbreviativo di Sepang International Circuit“.
La coincidenza è incredibile, dal momento che questa pista venne presentata nel 1999, anno del primo GP di F1 disputato in Malesia, e non venne di certo dedicata a Marco dopo la sua morte. L’altro assurdo scherzo del destino è proprio riferito al più grande successo nella vita di Simoncelli, vale a dire la conquista del titolo mondiale della 250, che arrivà proprio a Sepang nel 2008, in sella alla sua splendida Gilera.
Paolo ha poi continuato: “Io vi sto parlando proprio dal circuito di Sepang perché, come i più attenti sapranno, dal 2012 gestisco un team che milita in Classe Moto3. Per molti, la Malesia è un posto fatto di sole e di mare, dove il clima umido sprigiona questo inconfondibile odore di vacanze. Per me è inconfondibile tanto quanto lo sono le emozioni che mi legano a questo posto, a questo circuito che tanto mi ha regalato e tanto tolto“.
Paolo ha fatto proprio riferimento a quello che accadde il 19 ottobre del 2008, quando il “Sic” vinse il mondiale della classe di mezzo, regalandoci un’immagine indimenticabile. Dopo la bandiera a scacchi, il #58 si tolse il casco lasciando liberi al vento i suoi riccioloni, con le braccia aperte quasi a simulare il volo di un angelo.
Dopo la sua scomparsa, quella è stata una delle immagini che più frequentemente abbiamo visto nei video a ricordo del pilota, e va detto che non poteva esserci scelta migliore. La lettera di papà Paolo termina con un altro passaggio che fa venire un nodo alla gola, perché quello che abbiamo perso tutti noi era un ragazzo dal valore inestimabile.
“Mi è stato chiesto: “Paolo, hai voglia di scrivere di Marco per Repubblica?”. Mi sarebbero bastate nove semplici parole: Manchi Come L’Aria Marco, no anzi di più“. Impossibile, davvero, non commuoversi di fronte a tutto questo, alla disperazione di un padre che ha dovuto e soprattutto voluto andare avanti seguendo ciò che il figlio amava, ma che gli è risultato fatale.
Il “Sic” aveva un sogno, ovvero quello di andare forte e di vincere su dei mostri a due ruote, cosa che gli è riuscita con il titolo della 250, ma che avrebbe potuto essere molto di più. Quando se ne vanno piloti e, soprattutto, piloti di questo calibro, tutti noi facciamo fatica a trovare le parole giuste, nella consapevolezza che di gente così non ne faranno più. Ed allora ci resta soltanto un magone ed un grande rimpianto, per ciò che poteva essere e non è stato.