La F1 è una delle competizioni più entusiasmanti del mondo, purtroppo però non tutto va sempre come sperato e certe morti fanno male.
Non ci sono dubbi che il mondo delle corse automobilistiche sia uno di quelli maggiormente amati e apprezzati nella storia, ma per poter arrivare ai grandi sviluppi sulla sicurezza che vediamo oggi in F1, si è dovuto capire sempre di più come i piloti non si dovessero considerare come carne da macello.
Dal 1950 esiste un sogno a occhi aperti chiamato Formula 1, con questa straordinaria gara che permette ai più grandi piloti del mondo di darsi battaglia per poter entrare a tutti gli effetti nel mito assoluto.
Le quattro ruote sognavano già da diversi anni la grande opportunità di poter realizzare un Mondiale a tappe dove venisse dato modo ai piloti di sfidarsi e dare una carica di adrenalina al pubblico come rare volte è capitato nella storia.
Purtroppo sappiamo benissimo come il lavoro del pilota non possa essere considerato come il più semplice del mondo, soprattutto i rischi del mestiere sono elevatissimi, tanto è vero che tragicamente sono morti moltissimi piloti nel corso di oltre 70 anni di storia.
Il totale ufficiale è di 44 piloti che hanno perso la vita in occasione di un Gran Premio di Formula 1, anche se il numero reale cala leggermente considerando come negli anni ’50 la 500 Miglia di Indianapolis era in calendario solo come omaggio agli Stati Uniti ma non veniva corsa dai piloti che battagliavano nel resto della stagione.
Togliendo dalla lista comunque questi grandi piloti che hanno dato la vita per la loro passione, il numero rimane comunque di 36 morti nella storia della F1, con il primo di sempre che fu l’argentino Onofre Marimon, che perì nel 1954 al Nurburgring.
Fu un momento tragico per tutti, in particolar modo per i suoi connazionali Juan Manuel Fangio e José Froilan Gonzalez, ma purtroppo gli anni ’50 vissero anche altri anni molto bui.
La tragedia assoluta si completò nel 1958, anno in cui la Ferrari vinse il Mondiale con Mike Hawthorn ma a carissimo prezzo, dato che prima morì Luigi Musso e poi Peter Collins, con il dramma che si completò nell’ultima gara in Marocco con il decesso di Sturart Lewis-Evans in Vanwall.
Molto doloroso fu anche il 1960 che vide il disastro di Spa, con le morti di Chris Bristow in Cooper e di Alan Stacey in Lotus, prima di passare alla tragedia incredibile del 1961.
La Ferrari stava dominando il Mondiale e la lotta tra Phill Hill e Wolfgang Von Trips stava appassionando, con il tedesco che era in vantaggio e sognava il primo titolo iridato, ma Monza la sua vettura divenne un proiettile impazzito e morì quel giorno, dato l’amaro successo al compagno statunitense.
Quante morti in F1: da Marimon a Senna
Negli anni ’60 furono ancora quattro i piloti che morirono in pista, con l’Italia intera che non può dimenticare la tragica morte del ferrarista Lorenzo Bandini, con la sua monoposto che divenne un inferno a Montecarlo quando prese fuoco nel 1967.
Da ricordare con dolore anche l’olandese Carel Godin de Beaufort in Porsche al Nurburgring 1964, poi John Taylor, sempre nel tracciato tedesco, nel 1966 in Brabham e infine Jo Schlesser con la Honda nella sua Francia a Rouen nel 1968.
Gli anni ’70 invece furono una vera e propria carneficina, con il disinteresse più totale nei confronti dei piloti che portò grandi campioni a ribellarsi, su tutti il tre volte campione del mondo Jackie Stewart, che si fece portavoce di questa lotta.
Un altro che aveva un grande ruolo per far sentire la propria opinione era l’austriaco Jochen Rindt, un campione che nel 1970 in Lotus dominò il Mondiale, ma proprio quando stava per essere eletto come il miglior al mondo morì a Monza.
Il suo vantaggio fu tale che divenne comunque il campione di quella stagione due gare dopo la sua morte, per un momenti davvero straziante per tutti, in un anno che vide morire anche Piers Courage in Olanda.
Furono due anche le morti nel 1973 con Roger Williamson in Olanda, a bordo della March, e di François Cevert negli Stati Uniti, con la sua Tyrrell, con Watkins Glen che fu fatale anche l’anno successo per l’austriaco Helmut Koinigg, mentre l’Austria fece lo stesso con un pilota statunitense nel 1975: Mark Donohue.
Fu tragica anche la morte di Tom Pryce nel 1977 in Sudafrica, ma una di quelle più dolorose fu quella di Ronnie Peterson, con lo svedese in piena lotta per il Mondiale con il suo compagno Mario Andretti, ma a Monza trovò la morte mentre sognava il titolo.
Da allora la situazione è sensibilmente migliorata, ma alcuni casi sono entrati comunque tragicamente nella storia, con i più noti che riguardano Gilles Villenueve in Ferrari a Zolder nel 1982 e Ayrton Senna a Imola nel 1994.
Quel giorno a Imola perì anche l’austriaco, e grande amico del brasiliano, Roland Ratzenberger, mentre nell’anno della morte di Gilles scomparve poche gare dopo anche l’italiano Riccardo Paletti, al suo secondo Gran Premio della carriera.
L’ultimo in ordine di tempo è quel Jules Bianchi che a Suzuka nel 2014 entrò in coma e poi dopo qualche mese non si risvegliò mai più, per quella che ci auguriamo essere l’ultima morte di sempre nella storia della Formula 1.