La Ferrari ha disputato una prima parte di stagione eccellente, per poi crollare nella seconda fase. Un dato fa capire molte cose.
C’è tanto lavoro da fare in casa Ferrari, e questo lo sanno benissimo sia Charles Leclerc che Carlos Sainz. Esattamente come loro, ne dovrà essere al corrente anche chi sostituirà Mattia Binotto, il quale sembra ormai essere condannato a salutare la Scuderia modenese, nella quale lavora dal lontano 1995.
L’avventura dell’ingegnere di Losanna è stata eccezionale nella sua prima fase, quando ha lavorato nel reparto motori durante il periodo d’oro delle vittorie di Michael Schumacher e Rubens Barrichello. In seguito, le cose si sono complicate, e sin da quando ha iniziato a ricoprire ruoli più delicati, sono venuti fuori tutti i suoi limiti.
Nel 2009 è stato direttore del reparto KERS, in una delle stagioni più difficili della storia del Cavallino, esattamente come il 2014 quando ha curato il progetto della power unit. Cose più positive si sono viste nel 2017 e nel 2018, quando ha ricoperto il ruolo di direttore tecnico, ma poi la luce si è spenta del tutto.
La brama di potere ha portato Binotto a condurre la Scuderia, prendendo in mano un team che era arrivato secondo per due anni consecutivi e trascinandolo nel baratro. La Ferrari di Maurizio Arrivabene si era giocata a lungo ben due campionati, poi sfumati a causa dei troppi errori di Sebastian Vettel e di qualche guaio sul fronte dell’affidabilità.
Tuttavia, quella ereditata da Binotto non era affatto una Scuderia modenese disastrata, come quella che invece prese Jean Todt alla fine del 1993. La differenza tra il tecnico italiano ed il manager francese è proprio questa, e non significa nulla il fatto che l’ex presidente della FIA impiegò diversi anni per vincere.
Una delle più grandi colpe di Binotto, oltre ai pessimi risultati conseguiti, è stata quella di trovare sempre una scusa, di non scusarsi mai con i tifosi di fronte alle telecamere. Lo stesso comportamento è stato tenuto anche dal direttore sportivo Laurent Mekies e da Inaki Rueda, il responsabile delle strategie che ha completato la triade da incubo per il Cavallino.
Al giorno d’oggi, la squadra più vincente della storia della F1 è ridotta al ruolo di comparsa, ed è in grado soltanto di accumulare brutte figure. Finalmente, l’amministratore delegato, Benedetto Vigna, sembra aver compreso la gravità della situazione, e sta portando Binotto verso le dimissioni.
Ciò che accadrà nelle prossime settimane non è ancora chiaro, dal momento che si sa poco sul suo successore. La figura di Frederic Vasseur sembrava quasi scontata, ma negli ultimi giorni qualcosa è cambiato, ed a Maranello vogliono pensarci bene prima di commettere l’ennesimo errore di gestione.
Ferrari, dato allarmante sul rapporto tra pole e vittorie
La Ferrari del 2022 ha ottenuto ben 12 pole position su 22 qualifiche, eguagliando il record nella storia del Cavallino che apparteneva alla F2004. In quell’anno però, Michael Schumacher e Rubens Barrichello totalizzarono 15 vittorie su 18 gare, mentre la F1-75 si è fermata a sole quattro affermazioni.
Ciò significa che quest’auto è la seconda peggiore nella storia di Maranello in termini di rapporto tra pole position e vittorie. La 312 B3 del 1974 guidata da Clay Regazzoni e Niki Lauda portò a casa soltanto tre successi nonostante le dieci pole position conquistate, con lo svizzero che perse il titolo mondiale all’ultima gara contro la McLaren di Emerson Fittipaldi.
Quella Ferrari riuscì almeno a giocarsi il titolo fino all’ultima gara, mentre quella di quest’anno è stata demolita dalla Red Bull. Considerando che una pole è andata alla Haas con Kevin Magnussen ed un’altra alla Mercedes con George Russell, la RB18 ha conquistato “solo” otto partenze al palo, sette con Max Verstappen e l’altra con Sergio Perez, vincendo però 17 gare.
I numeri parlano chiaro, ed in questa speciale classifica la regina resta la Williams-BMW del 2002 guidata da Ralf Schumacher e Juan Pablo Montoya, che partì davanti a tutti per ben sette volte, vincendo solo il GP della Malesia con il tedesco. Dietro di lei c’è la Renault del 1979 affidata a Jean-Pierre Jabouille e René Arnoux, che vinse una sola gara a Digione nonostante le cinque pole ottenute in qualifica.
Il terzo gradino del podio è della Brabham del 1984 guidata da Nelson Piquet, Teo e Corrado Fabi e Manfred Winkelhock, che dopo cinque pole trionfò in una sola occasione. A seguire, davanti alle due Rosse, si posiziona la Lotus del 1986 affidata ad Ayrton Senna ed a Johnny Dumfries, vincitrice di due corse nonostante le otto pole position messe a referto grazie all’incredibile talento del pilota brasiliano.