La Ferrari è nel pieno dell’ennesima rivoluzione dopo l’addio di Binotto. La situazione è nera ed i rivali se la ridono in chiave futura.
In casa Ferrari la situazione è sempre la stessa, e con le dimissioni di Mattia Binotto ha preso il via un’altra rivoluzione, che verosimilmente porterà la Scuderia modenese a dover inseguire ancora per molto tempo. L’ingegnere di Losanna ha commesso tanti errori e ci teniamo a sottolineare che, dal nostro punto di vista, la decisione delle parti di separarsi è stata corretta, ma il problema sorge da molto lontano.
Il periodo d’oro del Cavallino è intercorso dalla metà del 1993 alla fine del 2007, quando il ruolo di boss del team era affidato a Jean Todt. Sotto la sua gestione, sono stati vinti sei titoli piloti ed otto costruttori, un ruolino di marcia impressionante, frutto della continuità e della scelta degli uomini giusti messi nei posti giusti.
Dopo il suo addio, venne rimpiazzato da Stefano Domenicali, il quale diede il via al crollo tecnico, politico e sportivo del Cavallino. L’attuale CEO della F1 vinse il mondiale costruttori del 2008, al primo anno come capo del muretto, ma si trattava di un titolo frutto della grande competitività della Rossa di quegli anni, precedente alla rivoluzione regolamentare del 2009.
Con l’avvento delle nuove regole, la Ferrari iniziò a regredire, e solo i miracoli di Fernando Alonso le consentirono di giocarsi ben due titoli sino all’ultima gara, persi contro la Red Bull di Sebastian Vettel ad Abu Dhabi nel 2010 e ad Interlagos nel 2012. Il pessimo inizio dell’era ibrida, con le prime gare del 2014, portò Domenicali alle dimissioni, cedendo il proprio posto a Marco Mattiacci.
Quest’ultimo fece da “traghettatore”, cedendo il passo a Maurizio Arrivabene l’anno seguente, uomo fortemente voluto da Sergio Marchionne, che nel frattempo aveva rimpiazzato Luca Cordero di Montezemolo nella carica di presidente. L’ex uomo di punta della Philip Morris, esattamente come Binotto, non durò più di quattro anni nel suo ruolo, venendo licenziato ad inizio 2019.
Quella decisione colpì tutti, dal momento che Arrivabene, al contrario di quello che pensa la maggior parte della gente, non fece poi così male. Sotto la sua gestione, Vettel si giocò a lungo due titoli mondiali, con quello del 2018 che venne perso per i troppi errori del tedesco, anche se qualche svarione in termini di strategia non era di certo mancato.
Tuttavia, quella presa da Binotto era una Rossa in netta crescita, che lo stesso ingegnere di Losanna ha contribuito però a distruggere negli anni seguenti, e questo è un dato di fatto inconfutabile. Arrivabene, come detto, aveva riportato questa squadra alla competitività, sfidando la Mercedes e Lewis Hamilton nel loro periodo d’oro.
Ferrari, allarmante il confronto con Red Bull e Mercedes
La Ferrari ha cambiato un numero indefinito di team principal nell’era successiva a Jean Todt, cosa che invece non è mai capitata in Red Bull ed in Mercedes. Nei loro casi, la coontinuità ha sempre pagato, con Christian Horner che è sempre stato al vertice del team di Milton Keynes, sin dal suo debutto avvenuto nel 2005.
In questo passaggio c’è però da specificare un dettaglio, relativo ai risultati conseguiti. La Red Bull è arrivata al vertice in un lustro grazie al lavoro di Horner e di Adrian Newey, vivendo poi un periodo molto diffficile con l’avvento dei motori turbo-ibridi e successivo ai successi di Sebastian Vettel.
Dal 2014 al 2020 non sono arrivati titoli mondiali, ma solo qualche vittoria sporadica. Il problema era legato soltanto ad una power unit, prima Renault e poi Honda nei primi due anni di collaborazione con la squadra anglo-austriaca, che non dava garanzie e che pagava un gap notevole rispetto alla Mercedes.
La Red Bull, intesa come squadra, è sempre stata perfetta, e come telai ha sempre portato in pista monoposto al livello dei primi della classe, l’unica cosa mancante era un motore performante. Sulla figura di Toto Wolff, invece, c’è poco e nulla da dire, visto che i risultati ottenuti negli ultimi anni parlano per lui. La Ferrari si è trovata invece immersa in rivoluzioni continue a causa di risultati che non maturavano, e che non sarebbero mai arrivati.
L’errore del Cavallino è sempre stato quello di sostituire i team principal con personaggi ancor peggiori, che non avrebbero mai potuto puntare al titolo mondiale. L’unico che era riuscito a fare qualche passo in avanti era stato Maurizio Arrivabene, a cui è stato preferito un ingegnere come Mattia Binotto, che di management non aveva alcuna esperienza. Ora, al suo posto, ne arriverà un altro, che davanti a sé avrà un lavoro a dir poco complesso, nella consapevolezza di avere le ore contate.