La Ferrari e Mattia Binotto si sono ufficialmente separati dopo 27 anni, gli ultimi dei quali con il tecnico che ha fatto da team principal.
Per la Ferrari è tempo dell’ennesima rivoluzione, con Mattia Binotto che è stato defenestrato dalla Gestione Sportiva per i suoi quattro anni da team principal in cui sono arrivati scarsi risultati. L’ingegnere di Losanna ha rassegnato le proprie dimissioni, e manterrà il proprio ruolo sino al prossimo 31 dicembre, ma in seguito lascerà Maranello in maniera definitiva.
Si è così chiusa una storia lunghissima, che lega Binotto alla Scuderia modenese dal lontano 1995, anno in cui entrò come ingegnere della squadra test. Il suo nome è legato ai grandi successi dell’epoca di Michael Schumacher, ed in seguito è riuscito a scalare sempre più posizioni nelle gerarchie della Rossa.
Nel 2009, Binotto è stato direttore del reparto KERS, e nel 2014 responsabile power unit assieme a Luca Marmorini. Dopo l’addio di James Allison avvenuto nell’estate del 2016, l’ingegnere reggiano è diventato direttore tecnico, ruolo che gli è stato affidato dal presidente Sergio Marchionne, il quale ha sempre avuto una gran fiducia in lui.
Sotto la supervisione di Binotto, la Ferrari era tornata ad alti livelli, con monoposto come la SF70H e la SF71H che avevano consentito a Sebastian Vettel di giocarsi a lungo ben due titoli mondiali. Qualche errore del pilota, problemi di affidabilità e sviluppi non sempre perfetti avevano poi favorito la Mercedes di Lewis Hamilton, ma c’è da dire che sotto la gestione di Maurizio Arrivabene e dello stesso Marchionne c’era stata una netta crescita.
L’ex manager della Philip Morris venne poi allontanato nel gennaio del 2019, facendo largo proprio a Binotto, il quale è divenuto team principal sfidando dei veri e propri squali come Christian Horner e Toto Wolff. In questo ruolo, il tecnico non ha mai spiccato, rimediando delle pesanti sconfitte sul fronte politico.
L’accordo segreto con la FIA sulla power unit del 2019 ne è l’esempio più evidente, ma anche la vicenda Budget Cap che ha coinvolto la Red Bull quest’anno e la direttiva tecnica arrivata pochi mesi che ha penalizzato la Rossa sono episodi che hanno fatto la differenza, e su cui Binotto non ha praticamente messo bocca.
Cambiare era giusto? Solo il tempo sarà in grado di dircelo, ma è logico che per avere dei risultati non basta aver sostituito soltanto il team principal. Sono tante, troppe le teste che dovrebbero saltare visti i clamorosi errori commessi in questi anni da gente come Inaki Rueda ed i suoi collaboratori, che hanno dimostrato di non meritare la F1 a questi livelli.
Ferrari, a Binotto il record di pole del dopo-Todt
La Ferrari ha vissuto la propria epoca d’oro sotto la gestione di Jean Todt, che ha occupato il ruolo di team principal dal 1993 alla fine del 2007. Sotto di lui sono stati vinti ben 6 titoli mondiali piloti ed 8 costruttori, ma soprattutto è stata riportata al top una squadra che da troppi anni attendeva una riscossa.
A sostituirlo subentrò Stefano Domenicali, che per tantissimi anni aveva lavorato a Maranello ed era presente al muretto. L’attuale CEO della F1 vinse il titolo costruttori al primo anno, ma in quel 2008 si sarebbe potuto fare molto di meglio considerando il potenziale della monoposto, con Felipe Massa che fu beffato dalla McLaren-Mercedes di Lewis Hamilton proprio all’ultima curva dell’ultima gara.
In seguito, arrivarono soltanto delusioni, e furono i miracoli di Fernando Alonso a consentire alla Ferrari di lottare per due titoli, nel 2010 e nel 2012, sino alla fine, per poi doversi piegare alla Red Bull di Sebastian Vettel. Dopo Domenicali toccò al “traghettatore” Marco Mattiacci, che condusse la Scuderia modenese nel 2014, prima di cederla a Maurizio Arrivabene.
Mattia Binotto ha avuto la sua occasione a partire dal 2019, ed in questi quattro anni è stato il team principal che ha ottenuto più pole position sotto la propria gestione. Grazie al talento di Charles Leclerc, più l’aggiunta di qualche buon risultato da parte di Carlos Sainz nel 2022 e di Sebastian Vettel nel 2019, sono maturate ben 23 pole position, tramutate poi in sole 7 vittorie.
Binotto è il peggiore dal punto di vista dei successi, visto che Mattiacci non può essere incluso in questa classifica. Domenicali, che per più di sei anni è stato a capo del muretto, ha festeggiato 20 vittorie, di cui ben 8 nel 2008, mentre Arrivabene si è dovuto fermare a quota 14.
I numeri sono impietosi, dal momento che il Cavallino ha vinto soltanto 41 gare nell’arco di 15 stagioni, un numero che la Mercedes otteneva, qualche anno fa, in appena un paio di campionati. Ciò testimonia lo scarso livello a cui si è ridotto il team più vincente della storia, che difficilmente si rialzerà in poco tempo.