In esclusiva sulla nostra rubrica Twitch di motori sul canale TV Play “Calciomercato.it” abbiamo avuto il piacere di intervistare Livio Suppo.
Livio Suppo è tra i manager più importanti della storia della MotoGP. Nella nostra consueta trasmissione live su Twitch abbiamo avuto il privilegio di porgli delle domande sul futuro della top class e sulle sue tante esperienze nel paddock. Il tecnico ha cominciato la sua carriera nella squadra Benetton Honda nelle classi 125cc e 250cc. In Ducati come Project Leader si è tolto la soddisfazione di vincere in MotoGP, grazie alle straordinarie prestazioni Casey Stoner nel 2007.
In seguito Suppo è stato ingaggiato in HRC dove per 7 anni ha svolto il ruolo di Team Principal. Con la casa giapponese ha celebrato altri cinque titoli con un Marquez al top della forma. Salutato il paddock della classe regina, Livio ha anche lanciato una società di successo di e-bike. Ha accolto, nel 2022, con entusiasmo la proposta della Suzuki. Davide Brivio, ex team manager, lasciò il team giapponese al vertice con Mir campione del mondo. L’esperienza di Suppo era iniziata col piede giusto, ma si è interrotta al termine dello scorso anno per la scelta dei vertici della Suzuki di lasciare la MotoGP.
Livio Suppo, ecco le sue parole in esclusiva
Quando hai firmato per Suzuki eri a conoscenza dell’addio alla MotoGP?
“Come ho già avuto modo dire, assolutamente no. E’ stata una decisione presa da vertici aziendali, dopo che comunque io avevo firmato. Quando mi hanno chiesto di unirmi al team ho fatto un contratto biennale. Nessuno pensava che si sarebbe interrotta così velocemente”.
Cosa ti aspetti che possa accadere in futuro nel matrimonio Honda – Marc Marquez? C’è aria di divorzio?
“Non è che lo dico io che Marc ha qualche dubbio sulla capacità della Honda di essere quello che era. Direi che un po’ in tutte le ultime interviste, anche il comportamento dopo il test di Valencia dove è andato via a metà giornata praticamente, sono segnali del fatto che non è soddisfatto di come la Honda sta reagendo ai problemi che hanno da qualche anno. In ogni caso il contratto tra Marc e Honda finirà al termine del 2024, quindi c’è ancora tutta questa stagione e la prossima. Peraltro tutte le squadre ufficiali hanno firmato contratti biennali, forse solo la Yamaha ha Morbidelli in scadenza e quindi sarebbe comunque impossibile trovare una soluzione alternativa per Marc che non fosse la Honda anche per il 2024. Quello che credo io è che lui userà questa stagione ‘23 per capire se ad inizio ‘24 dovrà iniziare a guardarsi in giro o no. Questo penso che sia la cosa che può succedere”.
Il tuo pensiero sulla valenza socio culturale del trionfo della Ducati nel 2022. Riportare una moto italiana con un italiano sul tetto del mondo può cambiare il futuro prossimo del motociclismo anche nel nostro Paese?
“Temo cambi poco perché penso che la MotoGP soffre, in questo momento, di un male che è diverso, per quanto sia bellissimo vincere con una casa italiana e un pilota italiano. La Formula 1 negli ultimi anni è in crescita, mentre la MotoGP è un po’ plafonata. Rimane, comunque, uno sport da appassionati, mentre i grandi numeri si fanno solo quando si riesce a far diventare un evento un evento globale. In F1 sono stati bravissimi in questo, probabilmente aiutati dalla serie di Netflix che, pare assurdo, ma sembrerebbe la cosa più importante che c’è stata e che ha creato questo cambiamento negli ultimi anni in Formula 1. Le gare di F1 non sono diventate molto più spettacolari di quanto non fossero. I protagonisti ci sono, ma c’erano anche prima quindi probabilmente Netflix è stato quello che ha dato il là ad un aumento di interesse globale nei confronti della Formula 1. Questo interesse globale nei confronti della MotoGP non c’è e non c’è mai stato, era cresciuto molto grazie a Valentino Rossi che è stato per più di vent’anni la MotoGP dal punto di vista mediatico e ha permesso di far diventare uno sport, sempre stato per super appassionati, uno sport seguito da milioni di persone. Purtroppo, come tutte le cose, Valentino è stato in pista anche molto di più di quello che ci si potesse aspettare, ma io non credo che in questo momento sia sufficiente la vittoria per quanto importante è, ma non credo che sarà questo che farà cambiare il numero di appassionati che segue la MotoGP”.
Cosa serve alla Honda per tornare a vincere, oltre al miglior Marc Marquez?
“Sicuramente Marquez in forma è una componente fondamentale e secondo me serve quello che, probabilmente visto dal di fuori ma conoscendo un po’ l’ambiente, è mancato negli ultimi anni. Cioè un’unione di visione fra i tecnici in pista e quelli a casa. Secondo me negli ultimi anni c’è stato un po’ uno scollegamento, uno scollamento fra i tecnici in pista e i tecnici dello sviluppo a casa e questo è deleterio per un team perché iniziano ad esserci le fazioni, iniziano ad esserci quello che dice che quelli a casa non capiscono niente e viceversa. E’ un cancro molto pericoloso nelle competizioni ed è un vantaggio che hanno le case europee. Le case europee hanno la maggior parte dei tecnici in pista che comunque vanno spesso in azienda, mentre nelle case giapponesi questo non si fa. Pre Covid si andava a montare le moto a gennaio e si stava lì una settimana, ma non è certo quello che crea una vera squadra. Quindi la differenza fra i tecnici a casa e i tecnici in pista è un attimo che diventi un grandissimo problema”.
Seguendo l’esempio della F1, in MotoGP nel 2023 verranno lanciate le Sprint Race. Qual è il tuo pensiero al riguardo?
“Non sono un grosso estimatore delle Sprint Race. Credo che 21 gare in calendario siano già un grossissimo sforzo per piloti e meccanici. Una gara benché sprint, quindi lunga la metà, è pur sempre una gara. Rappresenta uno stress molto più elevato sia per i piloti che per le squadre. Parlate con qualunque meccanico di MotoGP e ti dirà che preparar la moto per la gara e preparare la moto per le prove è diverso perché sai che se in prova non hai stretto bene una carenatura non succede niente. In gara, invece, rovini la gara. Quindi il livello di stress sia dei piloti che dei meccanici sarà elevatissimo. Quindi fare 42 partenze che secondo me sono la cosa più pericolosa, che se si potessero evitare sarebbe meglio, ma ovviamente è impossibile. Purtroppo abbiamo un Presidente della Federazione che le reputa la cosa più spettacolare delle gare ed è una barbarità che il Presidente della Federazione dica una cosa così perché la cosa più bella di una gara è un ultimo giro in cui sono due o tre che si giocano la vittoria, non certo la partenza dove, invece, basta nulla per farsi molto male ed è abbastanza strano che il Presidente della Federazione non se ne renda conto. E’ uno sport pericoloso dove il pericolo più grosso è quello che ha causato le morti dei piloti negli ultimi anni, visto che le piste e l’abbigliamento dei piloti è migliorato moltissimo e quello che è inevitabile è quando uno viene tirato sotto da qualcun altro. Lo capisce, chiaramente, un bambino che in partenza questo è ancora più probabile. E’ più facile che succeda perchè alla prima curva arrivano come degli assatanati, uno vicino all’altro e se uno sbaglia una frenata come ha fatto Nakagami quest’anno a Barcellona, e siamo stati super fortunati che alla fine l’unico che è uscito con le ossa rotte da quell’incidente lì sia stato solo il povero Rins. Poteva andare molto peggio. Secondo me le Sprint Race non sono la soluzione il problema. Se un prodotto non funziona benissimo non è aumentando il numero dei prodotti sul mercato che aumenti l’interesse, questo secondo me è lapalissiano e quindi se c’è un calo di interesse nei confronti della MotoGP e non si riesce a farlo diventare uno sport globale, bisognerebbe pensare di far qualcos’altro, non secondo me aumentare il numero di partenze o di gare. Per altro in F1 ne fanno ma hanno iniziato con 3, quest’anno saranno 6, ma con le macchine è un bel po’ diverso. Prima di tutto la partenza è meno pericolosa ma, in ogni caso, non mi piace nemmeno in F1. La Formula 1 è diventata ciò che è diventata negli ultimi anni non certo grazie alle Sprint Race”.
“Viviamo negli anni dei social, c’è gente che campa benissimo, mettendo delle foto su Instagram. Sembra una roba folle ma il mondo è questo e se per la massa è interessante vedere la F1 piuttosto che seguire un GP di MotoGP, non è facendo più gare che diventi più famoso degli influencer. Devi trovare il modo per far sì che questo sport che, ripeto è sempre stato di nicchia, da appassionati diventi uno sport globale e non è che io abbia la bacchetta magica e sappia come fanno, probabilmente sono anche troppo vecchio per capire quello che le nuove generazioni vorrebbero da uno sport come questo, però sicuramente la Formula 1 insegna che si può, senza stravolgere il concetto dello sport, perché la F1 ha subito dei cambi regolamentari, ma comunque secondo me sono cose da super appassionati e il grosso pubblico manco lo sa che le macchine hanno dei componenti elettrici e non è quello che fa diventare uno sport più o meno interessante. Non è facile capire come farlo, però probabilmente bisognerebbe dare spazio ai giovani e avere, all’interno della struttura della MotoGP, dei ragazzi che aiutino gente della mia età ad esempio a capire cosa piace ai giovani”.
I piloti di oggi sembrano essere dei meri strumenti per lo spettacolo, ma non vengono ascoltati nemmeno su questioni importanti come le Sprint Race. Quanto conta il loro parere?
“Secondo me i piloti non hanno mai contato moltissimo in qualunque tipo di sport, per una serie di motivi. Forse storicamente perché uno fa il pilota, di solito, per una grande passione. La F1 è nata come campionato mondiale marche e solo, in seguito, dopo qualche anno si è aggiunto quello piloti. Questi ultimi, nei primi anni di F1, erano dei gentleman driver che venivano ingaggiati a seconda di dove si correva. Quindi evidentemente anche la F1 è partita con i piloti che erano la cosa necessaria, ma non era la cosa su cui ruotava tutto. Storicamente anche nelle moto, io sono stato più di 20 anni e non ho mai visto i piloti prendere una posizione forte rispetto a qualcosa che veniva in qualche modo imposto. Quindi non mi sembra che sia cambiato rispetto a com’era quando ho iniziato io negli anni ’90. Ci sono i piloti forti, quelli meno forti, quelli che devono arrangiarsi per trovare una sella e quelli che vengono strapagati per correre. Questo è sempre stato così e, secondo me, resterà sempre così”.
Quanto era vicino Fabio Quartararo a passare alla Suzuki?
“Vicino è una parola grossa. Noi abbiamo saputo che ci saremmo ritirati domenica sera all’Estoril. Quindi era veramente inizio stagione e avevo iniziato le trattative con il manager di Mir e avevo, ovviamente, parlato fin dal Qatar con il manager di Alex, al quale avevo chiaramente detto che ci sarebbe piaciuto tenere entrambi, ma dopo la stagione 2021 di Alex per confermarlo mi sarei preso tutto il tempo necessario per vedere se tornava ad essere l’Alex Rins che pensavo di conoscere sino al 2021, ma è stato un anno orribile, un po’ come il ‘22 lo è stato per Joan. Ciò detto, in quelle fasi lì, tu sai che la priorità è tenerti due piloti, ma ‘sicuro è la morte’ dicevamo in Ducati una volta, nel senso che può succedere di tutto, nel senso che i tuoi piloti possono avere delle prestazioni inferiori a quelle che pensavi, piuttosto che essere nel mirino di qualche altra squadra, quindi è giusto iniziare a guardarsi intorno e allora, senza entrare nei particolari, la mia sensazione è che se fossimo andati avanti in stagione e non avessimo per qualche motivo rinnovato con uno dei nostri le chance che Fabio fosse venuto in Suzuki erano molto alte. Io credo che le alternative per Fabio erano restare in Yamaha, andare in Honda o venire in Suzuki. In Ducati hanno già tanti piloti giovani forti e non credo avrebbero avuto interesse a fare un grosso ingaggio a Fabio, per quanto Fabio sia fortissimo. In più la Suzuki era l’unica, insieme alla Yamaha, ad aver un motore quattro cilindri in linea e quindi nella testa dei piloti questo fa molto. Secondo me nella testa di Fabio, ad inizio stagione, la Suzuki era quello che lui avrebbe voluto fosse la Yamaha di quest’anno, cioè una moto che aveva mantenuto le caratteristiche peculiari del 2021, ma aveva aggiunto più top speed. Vi ricordate la prima gara in Qatar? Avevamo delle velocità massime elevatissime ed era quello su cui confidavo, cioè lui aveva poche alternative e qualora per qualunque motivo non avessi raggiunto un accordo con i piloti che avevamo o avessi ritenuto che non era meglio rinnovare, avrei cercato di convincere Fabio a venire, ma secondo me avevo buone chance”.
Cosa pensi che faranno gli ex piloti Suzuki, Joan Mir e Alex Rins, in Honda? Ritieni che Joan possa valere talenti come Marquez, Stoner e Valentino Rossi?
“Con tutto il rispetto per Joan hai citato i 3 piloti che sono i più forti degli ultimi 25 anni. Comunque un Mondiale se lo è vinto e, tra l’altro, al secondo anno in cui correva in MotoGP, quindi chapeau. Da lì ad essere uno di quei 3 è dura. Joan è un pilota che a me è sempre piaciuto molto. Nel 2017 quando ero in Hrc avevo iniziato a parlare con il suo manager per un’eventuale futuro passaggio perché pensavo che fosse uno molto consistente, molto regolare, cosa che in effetti è sempre stato. Gli manca un po’ il guizzo del supercampione, ma non lo dico io, lo dimostra il fatto che ha vinto un’unica gara in vita sua e che ha fatto un’unica pole in tutta la sua carriera, tra Moto3, Moto2 e MotoGP. Ciò vuol dire che la costanza è una sua caratteristica più della velocità pura. Come si troverà in Honda chi lo sa, nel senso che sicuramente delle scelte o delle sfide che poteva scegliere è quella più difficile per due motivi: la moto è sotto gli occhi di tutti e negli ultimi anni ha avuto dei problemi o perlomeno io non so se sia la moto ad avere dei problemi o se è la gestione che avevano faceva sì che non riuscissero a tirar fuori il massimo della loro moto. Vi faccio un esempio, nei test invernali e in Qatar quella moto andava forte e tutti scrivevate che la Honda quest’anno, finalmente, aveva fatto la moto seguendo le indicazioni degli altri piloti e non di Marc Marquez e aveva fatto una moto che funzionava bene. Non dimentichiamoci che in Qatar Pol Espargarò ha buttato via una vittoria, nel senso che aveva sicuramente il miglior passo di tutti. Peccato che abbia tirato troppo sin dai primi giri e in Qatar il pilota deve gestire le gomme. Se tiri dall’inizio alla fine le finisci prima e lui, nonostante questo errore strategico molto importante, ha comunque finito a podio con quella moto. A metà stagione, invece, la moto sembrava un camion inguidabile. C’è qualcosa che non funziona. Se tra quelli in pista e quelli a casa non c’è un unione di visione si rischiano queste cose. La moto era veramente un camion o era un problema di gestione del tutto?”
Dietro la crisi della MotoGP di oggi, potrebbe aver avuto un peso la volontà dei media italiani di incentrare tutto, in passato, sulla figura cardine di Valentino Rossi?
“Sinceramente non credo. Il problema è che il Valentino Rossi della Formula 1 è la Ferrari. La Ferrari è una casa e quindi continua ad esserci. Secondo me se in Italia non ci fosse più la Ferrari, la Formula 1 crollerebbe nell’interesse del grosso pubblico, o almeno degli appassionati di sicuro. Mi ricollego a quello che dicevamo prima e un altro esempio che io mi rendo conto, anche se per gli appassionati sono cose che non hanno senso, però se voi vedete un Gran Premio di Formula 1, soprattutto quelli che corrono negli Stati Uniti dove per anni hanno provato a sfondare ma non ci erano riusciti, vanta un numero di vip che siano essi calciatori, attori o addirittura la moglie di Obama che io non ho mai visto in vent’anni di MotoGP, in tutti i GP che ho fatto. Quando si dice al Mugello c’era poca gente perché mi i biglietti costano cari, secondo me è una stupidata perché non conosci i prezzi di Monza, ma non credo che andare a vedere la gara di Monza costasse meno di quella del Mugello, eppure era pienissimo perché la Formula 1 è diventata un evento dove la gente ci vuole essere, fa figo esserci perché ci va l’attore famoso, perché ci va il rapper. Questo secondo me in MotoGP manca, cioè questa capacità di fa diventare uno spettacolo che è bellissimo perché io rimango dell’idea che una gara di MotoGP è più bella e più televisiva di una gara di F1. Una gara di Formula 1 dura quasi due ore che è tantissimo, una gara di MotoGP bene o male in 45 minuti la vedi, solitamente è più divertente e più spettacolare. Ci sono più sorpassi e, dal punto di vista dinamico, è bello vedere una moto piegare. In F1 non ti rendi conto di quanto vanno forte. Dal vivo sono impressionanti, ma in televisione no. Io credo che la vera svolta la MotoGP riuscirà a farla se farà diventare quello che è un bellissimo sport da appassionati un evento mediatico globale, ma non sono io l’esperto di queste cose”.
Quest’anno la MotoGP sbarcherà in Kazakistan e India. Correre in Paesi nuovi può essere una soluzione per farla diventare più famosa a livello globale?
“Non vorrei essere troppo critico, però già anni fa correvamo in Turchia e in Cina e non sono mai riusciti a farlo diventare un evento seguito. Tra l’altro il Kazakistan, con tutto il rispetto, non mi sembra uno di quei posti dove le aziende si strappano i capelli per andarci. Non credo sia un mercato particolarmente interessante. L’India potenzialmente è un mercato enorme, però non è facile entrare in mercati nuovi. La Cina è un mercato mostruoso e ci abbiamo corso un po’ di anni e non fregava niente a nessuno, al di là del Covid. Quindi è un mix, Liberty Media ha fatto un ottimo lavoro perché Ecclestone ha provato per anni a far diventare la F1 famosa negli Stati Uniti e non ci è mai riuscita. Bisogna essere bravi a fare ste cose qua. Se uno fa le cose come le faceva 20 anni fa e continua a fare così, ti manca un pezzo. Se Ecclestone fosse rimasto alla guida della Formula 1, perché nonostante abbia 90 e passa anni sembra bello vispo, la F1 non avrebbe fatto il salto che ha fatto negli ultimi anni. Stefano Domenicali è molto più giovane di Bernie Ecclestone. E’ arrivato in F1, supportato da un’azienda americana, quindi immagino con una visione completamente diversa rispetto alla gestione di un business, perché alla fine della fiera questi sono business. Tutti si scandalizzano quando si parla di soldi ma questi, come tutti gli sport a livello professionistico, sono dei business. Quindi la gente per organizzarli deve guadagnarci, non sono opere di beneficenza. Quindi la Formula 1 ha accresciuto il proprio valore, negli ultimi anni, in maniera mostruosa. Dubito che lo stesso sia avvenuto anche alla MotoGP”.
Il tuo sogno nel cassetto è correre una Dakar, accadrà mai?
“Non succederà mai perché non vado in moto, pur essendo nato fuoristradista, da 23 anni. Mi piacerebbe da matti farla con un side by side, ma il budget per farla è mostruoso. Credo non bastino 200.000 €. Gli sport dei motori sono sempre stati cari. Fa parte del gioco. Se uno ha talento e la voglia trova chi lo aiuta. Io il talento non penso di averlo e sono arrivato a quell’età che è meglio che rimanga un sogno”.
Da parte di tutta la redazione di Tuttomotoriweb un saluto e un ringraziamento speciale a Livio Suppo. Rimanete sintonizzati sui nostri canali per altre interviste esclusive. Diamo spazio anche a tanti giovani talenti nostrani che stanno facendo un importante percorso nel Motorsport. Lasciatevi ispirare dalla voglia di emergere di Filippo Farioli, neo pilota della Moto3. Date un’occhiata anche all’appello di Carlo Tamburini a TMW: “L’Italia deve investire nel Motorsport”. Speriamo di riavere presto sulle nostre frequenze Livio Suppo.