La Toyota ha corso per vari anni in F1, ma ha poi dovuto abbandonare la massima formula. Ecco i veri motivi dell’addio dei giapponesi.
I giovanissimi non lo ricorderanno con precisione, ma negli anni Duemila, la F1 era piena di costruttori, ed oltre alla Ferrari, la Mercedes (da motorista), la BMW e la Renault, anche due colossi giapponesi potevano contare su un team ufficiale, ovvero la Toyota e la Honda.
Nella giornata di oggi, vi sveleremo il motivo per il quale la prima che abbiamo citato ha deciso di dire addio al Circus, lasciando a casa tantissimo personale dopo investimenti milionari, che purtroppo non hanno prodotto quelli che erano i risultati sperati. La Toyota, a tutti gli effetti, ha fallito clamorosamente, senza riuscire a portare a casa mai una vittoria.
La storia di questo team è iniziata nel 2002, quando la coppia di piloti che la portarono al debutto era composta dall’ex Ferrari Mika Salo ed Allan McNish, tre volte vincitore della 24 ore di Le Mans. Il finlandese regalò subito i primi punti al GP d’Australia del 2002, e tutto faceva sperare in bene, ma poi le cose precipitarono.
Il 4 novembre del 2009 fu un giorno molto triste per la F1 e per il motorsport in generale, dal momento che la Toyota annunciò ufficialmente il proprio ritiro dalla massima serie automobilistica. Il motivo era legato alla crisi economica che aveva colpito tutto il globo a partire dal 2008, e che, man mano, si era espansa a macchia d’olio colpendo tutti i settori.
La monoposto per il 2010, ovvero la TF110, era già stata costruita, ma purtroppo non vide mai la pista, se non per alcuni test effettuati dalla Pirelli, a cui il modello era stato venduto, in vista dell’ingresso del costruttore milanese nel Circus a partire dal 2011. Fu una notizia davvero terribile per il mondo dei motori, e c’è da dire che in quegli anni, i costruttori fuggirono in massa dalla F1.
A fine 2008 era stato dato l’addio da parte della Honda, che divenne Brawn GP, i cui risultati sono ben noti a tutti. Nel 2009 lasciarono sia la Toyota che la BMW, e l’unico ritorno degno di nota fu quello della Mercedes, che tornò in gioco nel 2010, ed anche quello è stato un investimento abbastanza azzeccato a giudicare dai risultati successivi.
La Toyota era arrivata in F1 con tante belle speranze di poter fare la parte del leone, tirando fuori enormi investimenti e ricoprendo di soldi sia i piloti che gli ingegneri addetti alla costruzione della monoposto. Le prime tre stagioni, ovvero quelle comprese tra il 2002 ed il 2004, furono di apprendistato, ed il passo in avanti decisivo sembrò essere stato ottenuto nel 2005, quando una rivoluzione regolamentare favorì i gommati Michelin per bloccare la dittatura della Ferrari e della Bridgestone.
Il nostro Jarno Trulli ottenne il primo podio della storia di questo marchio chiudendo secondo in Malesia, per poi ripetersi anche in Bahrain. Ad Indianapolis, il pilota abruzzese regalò la prima pole position ai giapponesi, ma la gara non fu disputata dai gommati Michelin per le gomme poco sicure che cedevano sulla sopraelevata.
Ralf Schumacher piazzò il miglior tempo anche in Giappone, ma di vittoria neanche a parlarne. Il triennio successivo riportò questo costruttore nella mediocrità, con appena qualche podio conquistato da Trulli, Ralf e Timo Glock nel 2008. Il 2009 parve l’anno della svolta, ma anche qui non si andò oltre una pole position e qualche piazzamento, tutto insufficiente per pensare di continuare a giustificare gli immani investimenti fatti.
Fu così che il colosso nipponico, a fine 2009, decise di mollare, ed i motivi dell’addio furono dunque i risultati scadenti e la crisi economica. Da quel momento in poi, questa casa si è concentrata sull’endurance, e negli ultimi cinque anni ha piazzato ben cinque vittorie di fila alla 24 ore di Le Mans, con la speranza di vincere ancora.
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